mercoledì 18 marzo 2009

storia del jazz con l'espresso - seconda parte


Della prima parte di quest'opera ho già parlato qui e qui.
Venerdì è uscita la seconda, che solo ieri mattina ho trovato il tempo di vedere e che lascia un po' gli stessi mixed feelings della prima.
Innanzi tutto risulta inspiegabile lo scollamento fra cd, dvd e libretto.
Il cd è, come il primo, una miscellanea di materiale molto noto (East St. Louis Toodle-Oo e Creole Love Call di Ellington, Body and Soul e Picasso di Hawkins, Nuages di Django Reinhardt, Rosetta di Earl Hines, One O' Clock Jump di Basie, In a Mist di Beiderbecke), che data dagli anni '20 agli anni '40, assortito in maniera abbastanza casuale e senza un riconoscibile filo conduttore, né tematico né cronologico, tranne quello piuttosto esile delle “città del jazz”.
Il libretto è una trattazione piuttosto frettolosa e sommaria del tema “le città del jazz”, che spazia addirittura dalle origini agli anni '80 in una quindicina di raffazzonate paginette, foto incluse. Per inciso, scorrendo i nomi degli estensori si incontra quello di Gino Castaldo, il che spiega molte cose.
Il dvd, così come il primo, alterna parti buone ad altre piuttosto raccogliticce.
Gustosissimo il cameo iniziale di Remo Remotti, che legge un anatema contro il jazz “corruttore della gioventù”, da un articolo di fine anni '20. Bella l'evocazione della New Orleans dei primi del secolo, del ruolo del creoli nello sviluppo del jazz, abbastanza accurata la trattazione di Morton (fra cui l'osservazione, tutt'altro che banale, che nelle sue incisioni con gli Hot Chili Peppers c'è poca o nulla improvvisazione), molto riuscita l'intervista a Gabriele Mirabassi (musicista di cui ho immensa stima sia artistica sia umana).
Insignificante, ma c'era da immaginarselo, il contributo di Franco Fayenz, personaggio insopportabile, autore di libri mediocrissimi, la cui fama di critico (addirittura “decano della critica jazzistica italiana”) è secondo me del tutto usurpata. Troppo sommario e ideologico il giudizio di Vittorio Franchini sul jazz di Chicago (“jazz falso, senza sentimenti, borghese, fatto da figli di papà che non venivano dalla strada e avevano il caffellatte caldo tutte le mattine”).
Insomma, l'impressione generale è simile a quella del primo: episodi di notevole sciatteria alternati ad altri più positivi.
Saltano all'occhio almeno due svarioni colossali: i minstrels definiti dal solito Renzo Arbore “cantanti chitarristi che cantavano delle ballate un po' antiche” (stendiamo un pietoso velo...) e l'affermazione, contenuta nel libretto, secondo cui uno dei campioni delle “street parades” di New Orleans sarebbe stato... Chick Webb!
A proposito, il dvd è molto più breve del primo, poco più di trenta minuti contro un'ora circa.
Giudizio: se non bocciato, rimandato a settembre con una bella sfilza di insufficienze (o “debiti formativi”, come si dice oggigiorno).

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Più che commentare la collana, non ho avuto il tempo, da te mi faccio una cultura sui nostri massimi esponenti della critica. Li vedo da decenni ai concerti ma non ne conosco personalmente nessuno: l'idea che mi ero fatto e che mi rafforzi è che l'ambiente giornalistico che segue il jazz deve essere poco raccomandabile o perlomeno piuttosto difficile. Meglio un tranquillo blog da appassionato lontano da veleni di qualsiasi tipo.....

sergio pasquandrea ha detto...

Io stesso non ne conosco personalmente moltissimi, ma quei pochi mi sono bastati.
Intendiamoci, ci sono anche moltissime persone serie, preparate, "belle persone" anche umanamente: Stefano Zenni, Maurizio Franco, Vincenzo Caporaletti, Marcello Piras (oddio, questi ultimi due come persone sono un po' particolari, ma come studiosi non si discutono), ma poi c'è tanto dilettantismo, tanta presunzione, tanto settarismo...
Su questo il caro Vincenzo ti potrebbe tenere una lezione, volendo.

sergio pasquandrea ha detto...

Tanto per dire, qualche anno fa a Umbria Jazz sentii con le mie orecchie un nostro noto critico e l'inviato di una nota rivista americana interrogarsi su quale mai fosse il brano che Brad Mehldau stava eseguendo come bis, senza trovare risposta.
Era "Countdown" di Coltrane, eseguito quasi nota per nota come nel disco.
All'inizio entrambi non avevano riconosciuto il primo brano, che altro non era se non "Wonderwall" degli Oasis.

Paolo Ferrario ha detto...

quanto sono d'accordo con te su vittorio franchini!
saccente e presuntuoso.
sulla serie dell'espresso la repubblica abbiamo già parlano. devo darti ragione. forse avrei fatto bene a lasciar perdere. ho talmente tante raccolte, ressaggne, antologie che qyesta era superflua. mi sono fato attrarre dal dvd
sono invece estremamante contento per il tuo giudizio sui miei post dedicati a nina smone.
nina è la mia musicista della mente musicale.
ho per lei una venerazione
se ti interessa le sto dedicando un blog:
amalteo.wordpress.com
il tizio del duende (lo trovi in prima pagina) sono sempre io.
amalteo.splinder.com

Paolo Ferrario ha detto...

il blog dedicato a nina simone è questo:
http://amalteo.wordpress.com/