domenica 15 febbraio 2009

scritture femminili


Quando si parla di scritture femminili, si parla sempre di tenerezza, di sensibilità, di psicologia, di "piccole cose", di effusione lirica, di memoria, di autobiografia, emozioni, fantasia, soggettività, interiorità, anima. Eppure a me piacciono molto anche le voci femminili ferme, nitide, taglienti: Marianne Moore, Sylvia Plath, l'Emily Dickinson più asciutta e metafisica.
Per esempio, adoro Lalla Romano, ma non sono mai riuscito a farmi piacere davvero Elsa Morante.
Ho trovato in un'antologia queste due poesie: tutte e due di scrittrici, tutte e due del Novecento e tutte e due di un'area eccentrica della letteratura inglese (Judith Wright è australiana, Fleur Adcock neozelandese).
Tutte e due molto belle, ma io preferisco la seconda. E' meno rassicurante.

* * *

DA DONNA A UOMO

Il cieco lavoratore della notte,
il seme senza io e senza forma che porto,
travaglia per il suo giorno di resurrezione -
silente e svelto e nascosto alla vista
presagisce un'inimmaginata luce.

Questo non è bimbo con viso da bambino;
questo non ha nome con cui nominarlo;
eppure tu ed io l'abbiamo ben conosciuto.
Questo è il nostro cacciatore e la nostra preda,
il terzo a giacere tra il nostro abbraccio.

Questa è la forza che il tuo braccio conosce,
l'arco di carne che è il mio seno,
i precisi cristalli dei nostri occhi.
Questo è il selvaggio albero di sangue che nutre
l'intricata e avviluppata rosa.

Questo è il fattore e il fatto;
questa è la domanda e la risposta;
la cieca testa che spinge contro il buco,
la vampa di luce lungo la lama.
Oh, stringimi, che ho paura.

Judith Wright (1915-2000)

* * *

CONSIGLI A UN AMANTE ABBANDONATO

Prova a pensarci: se trovassi un uccello morto,
non solo morto, non solo caduto,
ma pieno di vermi: proveresti
più pena o più disgusto?

La pena è per il momento della morte,
e per quelli successivi. Si trasforma
con la decomposizione, col fetore insinuante
e i vermi saprofaghi che ingrassano e si dimenano.

Se torni più tardi, invece, troverai
una figurina d'ossa linde, alcune penne,
simbolo inoffensivo di ciò
che un tempo visse. Niente di raccapricciante.

Ti è chiaro adesso? Ma forse trovi
che l'analogia che ho scelto
per la nostra storia finita sia piuttosto macabra -
un paragone spiacevole.

L'ho scelto apposta. In te
vedo i bachi vicino alla superficie

sei divorato dal vittimismo
e strisci sgradevole e patetico.

Se ti toccassi sentirei sotto le dita
pelle di verme grassa e umidiccia.
Non chiedermi pietà adesso:
sta' lontano finché le tue ossa non sono pulite.

Fleur Adcock (n. 1934)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

questa della adcock la conoscevo, è una poesia splendida... così forte, così dura...
per quel che riguarda la poesia femminile io ho un debole per la cavalli e per la lamarque (anche tu, lo so ;-) ma nessuna di loro ha mai scritto un testo come quello della adcock, credo... oddio forse nemmeno uomini ho letto così duri (forse solo il leopardi di a se stesso, ma quella non vale perchè lì veniva abbandonato lui, il sentimento era giustificato) forse non fa parte della nostra cultura poetica questa mancanza di pietas per l'altro, per l'anello debole della coppia... è più che altro un sentimento che io attribuisco al blues... non so, non ho esempi in mente per contraddirmi in questo momento, tu che ne dici? quanti bastardi hai letto nella nostra poesia?

sergio pasquandrea ha detto...

Bastardi nella nostra poesia ce ne sono (tanto per dire, il buon Montale con Dora Markus si comportò abbastanza da vigliacco), ma in genere quando scrivono posano ad anime nobili.
Niente di male, per carità: nessuno è tenuto a sputtanarsi per l'eternità.
Però è anche per questo che mi piace la poesia anglosassone, perché ha spesso questa durezza, questa mancanza di ipocrisia. Penso alla tremenda poesia di Sylvia Plath sul padre ("Papà, ammazzarti avrei dovuto. / Ma tu sei morto prima che io /Ci riuscissi, tu greve marmo, sacco pieno di Dio / [...] Non un Dio ma svastica nera / Che nessun cielo ci trapela. / Ogni donna adora un fascista, / Lo stivale in faccia e il cuore /Brutale di un bruto a te uguale. / [...] Papà, papà, bastardo, ho finito").
Così a mente, forse nella nostra poesia solo Pasolini è riuscito ad avere questa forza polemica, questa sincerità spietata, che non esita a sfidare il prosastico, l'impoetico.

Anonimo ha detto...

hai ragione, pasolini! lui era veramente impietoso quando ci si metteva, e le ultime sono qualcosa che semplicemente non esiste, nè poesia nè prosa, nè diario, un genere a sè

la madonna del petrolio ha detto...

"Rimpiango ancora la mia verginità?" Saffo