domenica 11 gennaio 2009

la guerra e gli occhi


Ho già pubblicato in un post una foto di Vittorio Arrigoni. Bambini palestinesi morti, composti nei loro sudari, senza più tracce di violenza (c'è solo un po' di sangue sull'estrema destra, quasi fuori campo).
Sul suo blog ce ne sono molte altre. Bambini feriti in braccio a padri in corsa. Bambini urlanti sotto rivoli di sangue. Cadaveri di bambini bianchi di polvere, o con il viso ridotto a una poltiglia nera. Volti di bambini che emergono da sacchi di cellophane. Un bambino dagli occhi aperti e malinconici, con due fori di pallottola sul petto, e dietro di lui un muro di facce impietrite.
Sono foto che si trovano anche in giro su internet, ad esempio qui, o qui.
Io non voglio riprodurle.
In ognuno di quei bambini rivedo mia figlia, e il solo pensiero mi provoca spasmi sulla nuca, conati di vomito. Non riesco a ragionare, il mio corpo prende il sopravvento e tenta di fuggire.
Eppure bisogna pensare, e le domande sarebbero tante.
Ad esempio: quanto è morale riprodurre fotografie del genere, sia pure per il più nobile degli scopi? E' lecito fare di quei corpi il manifesto sul quale scrivere le proprie convinzioni politiche? E il dolore, il dolore delle famiglie, renderlo pubblico, metterlo in circolazione? Non posso fare a meno di figurarmi quelle immagini che viaggiano sulla rete, accanto a miliardi di altri dati, quotazioni azionarie, previsioni del tempo, barzellette, fiche spalancate, file musicali, virus informatici.
Penso che basta un frammento vagante di metallo a scompaginare un volto e a ridurlo a un ammasso di elementi istologici. Quello che prima era un fascio di energia viva ora è materia.
E' strano per uno che non crede, ma l'unica parola che mi viene in mente è "sacrilegio".
E penso anche che questa è la guerra, in ultima analisi: una perdita di pudore. Ciò che c'è di più privato, il nostro corpo, diventa pubblico.
Cos'è più giusto, guardare (e profanare), oppure girare gli occhi?

Nessun commento: