mercoledì 28 gennaio 2009

che noia!

"La maggior parte [dei teorici dell'arte] ha preferito affrontare i pregi e i difetti di un'opera come se fossero intrinseci all'opera stessa, anziché derivare da una relazione tra il prodotto artistico e il suo spettatore. L'uomo comune nei confronti dell'arte assume l'approccio esattamente opposto, e quindi il suo vocabolario estetico trabocca di termini che esprimono relazioni, parole come "divertente", "interessante" e "irritante", che si concentrano sulle sue reazioni all'opera in questione. Gli estetologi professionisti adottano invece un vocabolario ben diverso: parlano di "forma", "simmetria", "bellezza", "sublime" e così via, in un modo che spesso non ha alcun rapporto diretto con ilpubblico dell'opera. Per i filosofi, come per molti artisti, l'esistenza di un pubblico indipendente, intelligente e dotato di facoltà critiche é un peso. Queste associazioni così pedestri, sembrano dire, servono soltanto a macchiare la bellezza incontaminata dell'arte. La loro riverenza per l'opera la trasforma un un oggetto a sé, come la reliquia di un santo, che non deve essere compresa in termini umani.
L'incapacità - o la mancanza di volontà - da parte della maggioranza dei critici moderni di parlare della noia rivela probabilmente un'insicurezza profonda. Un'ammissione di noia da parte di un critico offre sempre il fianco alla possibile risposta che la colpa sia sua e non dell'opera d'arte: se il critico fosse più consapevole, sensibile, intelligente, avrebbe visto l'opera in tutto il suo splendore e la sua bellezza.
[...]
Ma l' "opera in sé", come la cosa in sé di Kant, è una nozione metafisica che non aggiunge nulla alla nostra comprensione dell'opera in questione. Non è forse vero che le opere d'arte sono importanti per l'impatto che hanno su di noi? E non esistono forse opere interessanti e coinvolgenti e altre insopportabilmente noiose? Sappiamo tutti che queste cose sono vere, eppure - per quanto strano a dirsi - questi semplici fatti informano raramente i nostri giudizi estetici.
Da un riconoscimento di simili fondamentali valori estetici il jazz potrebbe guadagnarci più di altre arti. La sua evoluzione da arte popolare ad arte colta in termini generali è stata verosimilmente un processo positivo, ma ha anche portato con sé dei problemi innegabili. Nelle arti popolari il rapporto del pubblico con l'artista è di solito privo di ambiguità: il pubblico si aspetta di essere coinvolto nell'opera d'arte e le opere che non riescono a farlo non sopravvivono (anche solo per il fatto che si ritrovano ben presto senza un pubblico). Questo genere di relazione è ben lungi dall'essere perfetta - patisce senza dubbio i capricci della moda popolare e i limiti (in termini di sofisticatezza e comprensione) del pubblico di massa - ma è a suo modo un rapporto onesto. [...]
Roland Barthes ha scritto parole magnifiche sui "piaceri del testo" e il suo richiamo a un erotismo del giudizio estetico è stato un tema ricorrente in molta recente letteratura critica. Ma perché fermarsi al piacere? Il perseguimento del piacere può esistere solo accanto all'onnipresente possibilità della noia e della frustrazione erotica. [...] Non trascuriamo i piaceri del testo, ma non dimentichiamo nemmeno i piaceri che provengono dal non finire un testo, dall'abbandonare un museo o un jazz club, dal non rinnovare l'abbonamento a una sala di concerti. Questi atti innescati dalla noia possono avere validità estetica quanto la maggior parte delle serissime meditazioni sui più elevati ideali della simmetria e della bellezza formale."
da: Ted Gioia, "L'arte imperfetta. Il jazz e la cultura contemporanea"
(Excelsior 1881, 2007, pp. 167-170)

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