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mercoledì 12 settembre 2012

la bellezza

"Definire il bello è facile: è ciò che fa disperare."
(Paul Valery)


Guardando il viso di E., riflettevo sul mistero della bellezza.
E. è un'amica. Anzi, vorrei essere più preciso: conoscerla è equivalso a un momento di autocoscienza. E. è per me quello che gli inglesi chiamano una kindred soul, un esatto duplicato spirituale, un Doppelgang benefico, con cui condivido personalità, gusti, interessi, tratti caratteriali. Insomma, un alter ego, soltanto racchiuso in un corpo femminile, e decisamente più bello.
Perché E. è una delle donne più belle che su cui io abbia mai posato gli occhi. Quando la conobbi, rimasi per parecchi minuti paralizzato a guardare il suo profilo, nient'altro che il suo profilo, finché mi resi conto che la cosa stava cominciando a risultare imbarazzante.
Ora, il fatto che E. sia bellissima non è la ragione per cui è mia amica; casomai il contrario, ma di questo parlerò dopo. E non posterò fotografie, non solo per ovvie ragioni di privacy, ma anche per un motivo più complesso. E. è una di quelle persone fortunate che in fotografia vengono sempre bene, ma nessuna immagine è in grado di rendere la particolare vibrazione che è l'essenza della sua bellezza: e invece è proprio di quella che voglio parlare.
Se analizzassi nel dettaglio il volto di E., potrei trovarvi una quantità di difetti. Il viso, guardato da una certa angolazione, fa una curva un po' spigolosa; la pelle degli zigomi è cosparsa di piccole efelidi, che in qualche punto si allargano in macchioline scure di forma irregolare; lungo il contorno delle guance, i capelli si prolungano in una leggera ombreggiatura.
(Gli occhi no, i suoi occhi sono impossibili da descrivere, grandissimi e scuri, con una qualità tenera, starei per dire soffice, che ha poco da spartire con la loro conformazione fisica e molto con qualcosa che emerge da un luogo profondo e nascosto, un luogo che in mancanza di un termine migliore denominerei anima).
Però il mistero della bellezza di E. sta nel modo, per me assolutamente indecifrabile, con cui ciascuna delle zone di discontinuità e di disarmonia va a fondersi in un'eleganza e una coesione di livello più alto, producendo un'aura diffusa, una velatura sottile, un rifrangersi e sfumarsi delle ombre che ho ritrovato solo in certi volti del Correggio o del Veronese. Ho sempre pensato che vi fosse una differenza sostanziale tra perfezione e bellezza, e guardando il viso di E. mi sembrava di averne trovato la prova.
Ma c'è qualcosa di più: non credo che E. sia pienamente consapevole della sua bellezza. O per dir meglio, l'avrà senz'altro sentito dire da tutti, ne avrà la nozione astratta, ma il linguaggio corporeo, che non mente, mi parla di una totale assenza di seduttività e di estroversione, del procedere di un corpo che non è mai totalmente in pace con sé stesso. L'implicita goffaggine, le traiettorie infantili che deviano certi suoi gesti, insomma la sua fragilità, la salvano dalla distanza, dal gelo, dalla sideralità della bellezza, e mi fanno provare per lei un affetto che non sarei in grado di rivolgere a una donna pienamente sicura di sé.
Forse la bellezza non deve mai incontrarsi con la sua vera immagine, non le si deve nemmeno avvicinare, ma deve restare sconosciuta, anche a sé stessa.

mercoledì 5 gennaio 2011

il tempo e la bellezza


Anche in pieno giorno nella Stanza del Tè, la luce è sempre soffusa, poiché gli spioventi del tetto lasciano a malapena penetrare pochi raggi di sole. Ogni cosa è delicata nel colore, dal pavimento al soffitto; anche gli invitati hanno scelto con cura le loro vesti, optando per le tinte più discrete. La patina del tempo ricopre ogni oggetto, poiché in questo luogo non è ammesso niente di nuovo all’infuori del lungo cucchiaio di bambù ed all’asciugatoio di tela che deve essere nuovo e di un candore immacolato. Ogni utensile deve essere lindo e pulito per quanto vecchio esso sia. Anche l’angolo della Stanza del Tè più remoto non deve conoscere il benché minimo strato di polvere, poiché se così non fosse il padrone di casa non potrebbe ritenersi un Maestro del Tè, che deve possedere, come principale qualità, quella di scopare, pulire e lavare da se stesso la Stanza. Anche pulire e spolverare è un’arte. Un antico oggetto di metallo non deve venire lucidato sconsideratamente, con l’energia che vi impiegherebbe una massaia olandese. Su di un vaso da fiori le gocce d’acqua non devono venire asciugate ma lasciate, cosicché possano richiamare la rugiada e la freschezza.

[...]

La Stanza del Tè è completamente vuota, lo ripeto, all’infuori di quello che vi può essere portato per un periodo temporaneo e per rispondere a qualche fantasia estetica. Vi si porta a volte un oggetto di un particolare interesse artistico e si sceglie e si dispone ogni altra cosa in modo da far valere la bellezza del tema principale. Come non si possano ascoltare contemporaneamente diversi brani musicali, così si può comprendere il bello unicamente quando ci si concentra su di un motivo particolare. Come si può vedere il sistema di decorazione delle nostre Stanze del Tè è nettamente diverso da quello usato in occidente dove spesso si trasformano in piccoli musei gli interni delle case. Ad un giapponese, abituato alla semplicità ornamentale e ai frequenti cambiamenti dell’arredo, un interno occidentale pieno zeppo di quadri, sculture e antichità di ogni epoca sembra una volgare ostentazione di opulenza.

[...]

Soltanto nella Stanza del Tè ci si può consacrare all’adorazione della bellezza, senza timore di essere disturbati. Nel sedicesimo secolo la Stanza del Tè offrì ai guerrieri e agli Statisti, che lavoravano per l’unificazione e per la ricostruzione del Giappone, un gradito riposo dalle loro fatiche. Nel diciassettesimo secolo, con l’istaurazione del severo formalismo dei Tokugawa, essa costituì l’unica possibilità di libera comunione per le anime elette. Di fronte alla bellezza di un’autentica opera d’arte scompare ogni differenza tra il daimyo, il samurai e l’uomo del popolo. Oggi il processo di industrializzazione rende sempre più difficile la pratica del bello e del raffinato. Oggi più che mai sentiamo il bisogno della Stanza del Tè.

(Okakura Kakuzo, Il libro del tè)




http://www.youtube.com/watch?v=5mfyCI82lWM

sabato 3 gennaio 2009

bello! bello... bello?


La butto là, così come mi è venuta.
E se la linea rossa dell'arte colta europea del Novecento fosse la colpevolizzazione del Bello?

Indagare su cause, effetti, corollari.