giovedì 19 marzo 2020

prima e dopo

Prima che questa follia scoppiasse, avevo rimesso in ordine le vecchie poesie (vecchie = 2015-2017 circa, poi ho praticamente smesso di scrivere) e mi ero accorto di avere del materiale inedito che, opportunamente rivisto e montato, poteva costituire una piccola plaquette.
L'avevo persino messa insieme e mi era abbastanza piaciuta, soprattutto perché era un libro piuttosto leggero, che parlava di primavera, di bambini, con un tono spesso ironico. Dopo la cupezza apocalittica di "Sono un deserto" (pubblicato l'anno scorso da Lietocolle), mi sembrava bello proporre qualcosa di un pochettino più ilare.
Adesso siamo in piena emergenza e, rileggendo quelle poesie, mi chiedo: che farne? È lecito parlare di fiori in tempo di peste?
Qualcuno potrebbe rispondere che no, è immorale, qualcun altro invece che sì, la vita va avanti nonostante il COVID-19.

La mattina apro la finestra e c'è il prunus tutto in fiore, una cascata di petali rosa pallido che già cominciano a staccarsi e a volare via, in queste giornate quasi primaverili, limpide e tiepide, senza motori e senza smog.
Mi tornano in mente i versi di Philip Larkin: "The trees are coming into leaf / Like something almost being said". Gli alberi rimettono le foglie, la gente si ammala, a volte guarisce, a volte muore.
Il mondo va avanti, con noi o senza di noi.

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