Anthony Burgess, ABBA ABBA,
Vintage Classics, 2000 (127 pp.; 5,99 sterline)
Certe volte, mentre leggo libri in
altre lingue, mi viene da pensare a come si potrebbero tradurre.
Mentre leggevo questo ABBA ABBA in
inglese, mi veniva da pensare “Oddio, povero il traduttore!”. Perché se
è vero che qualunque opera d'arte è radicata nella lingua in cui è
stata scritta, questa di Anthony Burgess (sì, quello di Arancia
meccanica: proprio lui) è tutta un'acrobazia linguistica. Continui
giochi di parole, neoconiazioni, personaggi che mimano questo o
quell'accento. Insomma, un casino, per dirla alla francese.
Il
meccanismo da cui parte Burgess è quello del “what if?”: “che
cosa sarebbe successo se?”. In effetti, in questo caso il “what
if?” è parecchio plausibile, anzi è addirittura possibilissimo
che sia successo davvero, anche se nessun documento lo prova. Che cosa sarebbe successo se John Keats, il
quale nel 1820 stava morendo di tisi a Roma, a soli venticinque anni,
in un camera d'affitto affacciata su Piazza Navona, avesse incontrato Giuseppe Gioacchino Belli, all'epoca giovane funzionario
pontificio, appena qualche anno più vecchio di lui, che cominciava a
scrivere i sonetti romaneschi per i quali sarebbe poi diventato
celebre?
Il
risultato è un romanzo breve, o un racconto lungo se preferite (sono
un centinaio di pagine), che ha in realtà molte facce: narrazione
storica, indagine su due personaggi antitetici (l'inglese neo-pagano
Shelley e il romano catto-blasfemo Belli) e non ultimo – come ho
già detto – raffinato gioco metalinguistico. Perché, tanto per
dirne una, c'è tutta una sottotrama su Keats che traduce in inglese
un sonetto romanesco di Belli, fatto essenzialmente con i diversi
nomi dell'organo maschile.
Ciliegina
sulla torta, Burgess inserisce addirittura un'appendice in cui
traduce (o dovrei meglio dire: reinventa) in inglese-mancuniano
un'ottantina di sonetti belliani. Peraltro, va notato che Burgess –
egli stesso poeta (e pure musicista se è per questo) – era anche sposato con un'italiana, per di più
linguista e traduttrice (chi si somiglia si piglia...) e soggiornò a
lungo in Italia, Roma inclusa. Chi ha letto Arancia meccanica sa bene quanto il gusto per i giochi linguistici fosse parte
integrante del suo stile.
Insomma,
per me leggerlo è stato un godimento. Tradurlo dev'essere stato
un'impresa ai limiti del masochismo (è
stato tradotto, qualche anno fa: Edizioni Robin, 1999, non più in catalogo credo; traduttore S. Marano).
Due
parole sul titolo: ABBA
è ovviamente lo schema di rime di una quartina di sonetto; ed è
anche il grido di Gesù sulla croce (“Padre, padre, perché mi hai
abbandonato?”); ed è anche la versione speculare delle iniziali di
Anthony Burgess (che in realtà si chiamava John Burgess Wilson, ma
si sa che degli scrittori ciò che conta è il nom de
plume). “ABBA ABBA” è
scritto anche sulla tomba di Burgess, nel cimitero di Monaco.
Burgess non si può negare che avesse una mente contorta; ma il bello è proprio
questo.
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