giovedì 22 ottobre 2015

recensioni: "Geologia di un padre", di Valerio Magrelli

Valerio Magrelli, Geologia di un padre (Einaudi, 2014); 168 pp., € 10.


Con Valerio Magrelli ho un rapporto complicato.
A dire il vero, l'ho frequentato abbastanza poco, o comunque meno di tanti altri poeti. La ragione è questa: quando lo leggo, mi sembra di scorgere un Doppelgänger. Magrelli scrive ciò che vorrei – dovrei? – scrivere io.
Per qualche ragione, ho un rapporto meno complicato con il Magrelli prosatore, a partire dallo splendido “Nel condominio di carne” (Einaudi, 2003), di cui questo “Geologia di un padre” è l'ideale prosecuzione e conclusione.
Magrelli passa in genere per un poeta tutto mentale e intellettuale. In realtà, chi lo conosce sa che alla sua poesia è sottesa (anche) una riflessione sul corpo, sulla carne, e sui suoi legami con la mente. Se in “Nel condominio di carne” il corpo era quello del poeta stesso, indagato nella sua più creaturale fisicità (un corpo spesso malato, operato, crocifisso da protesi), qui il discorso si porta più indietro o, per riprendere la metafora del titolo, più in profondità.
Il corpo, e la mente, qui sono quelli del padre.
Ora, l'autobiografia è sempre un terreno scivoloso. Scrivere di ricordi personali, indagare la malattia e il disfacimento fisico e psichico di un genitore: tutti temi a fortissimo rischio di patetico. Magrelli lo evita perché il suo sguardo resta sempre fermo, anche nei momenti di più intensa commozione; e perché il vero tema è uno scavo impietoso in sé stessi, in quel calco ineluttabile che un genitore rappresenta per il figlio.
Il libro è strutturato in ottantatré capitoletti (tanti quanti gli anni di vita del padre), tramati di rimandi e collegamenti espliciti e impliciti.
Torniamo al punto di partenza: se mai dovessi scrivere un libro del genere, lo vorrei scrivere così. Proprio così.

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