lunedì 21 settembre 2015

un regalo, una bella scoperta



Fino a qualche settimana fa, ero colpevolmente ignaro del nome e della stessa esistenza di Paulo Leminski (1944-1989). Del resto, a quanto ne so questo poeta è del tutto ignoto in Italia e mai tradotto nella nostra lingua.
Poi una persona, che è l'altra metà di me stesso e che (beata lei) quest'estate è stata in Brasile, mi ha riportato in regalo il libro che vedete qui sopra. E io me ne sono innamorato.

Leminski non è una personalità facile da incasellare. Spesso è incluso fra i rappresentanti della poesia concreta, quel movimento d'avanguardia che negli anni Cinquanta e Sessanta, in Brasile (e in Svizzera, pensate un po': e non chiedetemi che cosa c'entrino...) cercò di rinnovare il linguaggio poetico cancellando l'espressione dell'Io, introducendo sperimentazioni grafiche e tipografiche, giochi linguistici e metalinguistici.
Leminski è stato anche avvicinato al gruppo (di cui in realtà mai fece parte) dei poeti marginali, che rifiutavano la grande distribuzione e producevano da sé i libri che poi si passavano di mano in mano.
Leminksi, comunque - dicevo - non è facile da classificare. Se alcuni suoi libri adottano le sperimentazioni del concretismo, in lui c'è una vena più colloquiale, ironica, unita a un'apertura verso altre forme d'arte, prima fra tutte la canzone. Negli anni Sessanta stava nascendo in Brasile il tropicalismo, e Leminski ebbe modo di collaborare con Caetano Veloso, Gilberto Gil e Tom Zè.
Usò anche abbondantemente la forma dell'haiku.

Qualche rapido cenno biografico: nacque a Curitiba, nello stato del Paranà, e studiò a San Paolo in un convento di benedettini. Si interessò di poesia, traduzione (parlava fluentemente francese, inglese, spagnolo, giapponese e conosceva bene il latino e il greco), critica letteraria, storia, e fu anche cintura nera di judo. Nel 1968 sposò la poetessa Alice Ruiz, che gli restò accanto per vent'anni.
Morì a quarantatré anni, di cirrosi epatica.

Qui sotto qualche poesia, nella mia indegna traduzione, e una canzone di Veloso su testo suo.

(P.S.: mancano le poesie grafico-sperimentali, per ovvi motivi; quelle, se ho tempo, prima o poi ve le scannerizzo.) 

(P.P.S.: mancano anche molte poesie bellissime, ma intraducibili, perché interamente basate su giochi di parole o su raffinatezze metriche, che vanno perdute in traduzione.)

* * *

 amore bastante

quando vidi te
ebbi un'idea brillante
fu come se entrassi
nell'interno di un diamante
e il mio occhio acquistasse
mille facce in un istante

basta un istante
perché tu abbia amore bastante

* * *

Dolore elegante

Un uomo con un dolore
E' molto più elegante
Cammina da una parte
Come se arrivando in ritardo
Arrivasse un po' prima

Porta il peso del dolore
Come se portasse medaglie
Una corona, un migliaio di dollari
O roba di valore

Oppio, eden, analgesici,
Non toccatemi in questo dolore
È tutto ciò che mi resta
Soffrire sarà la mia ultima opera.

* * *

Merda e oro

La merda è veleno.
Ma intanto, non c'è niente
che sia più bello
di una buona cacata.
Cacano i ricchi, cacano i padri
cacano i re e cacano le fate.
Non c'è merda paragonabile
alla cacca della persona amta.

* * *

L'assassino era lo scrittore

Il mio professore di analisi sintattica era un tipo da soggetto inesistente.
Un pleonasmo, il principale predicato della sua vita, regolare come un paradigma della prima coniugazione.
Tra una proposizione subordinata e un'apposizione avverbiale, non aveva dubbi: trovava sempre un modo asindetico per torturarci con un inciso.
Si sposò con una reggente.
Fu infelice.
Era possessivo come un pronome.
E lei era bitransitiva.
Tentò di andarsene negli U.S.A.
Non ci riuscì.
Trovarono un articolo indefinito nel suo bagaglio.
L'interiezione dei baffi declinava particelle espletive, connettivi e complementi d'agente, tutto il tempo.
Un giorno, lo uccisi con un oggetto diretto sulla testa.

* * *

Avviso ai naufraghi

Questa pagina, per esempio,
non è nata per essere letta.
E' nata per essere pallida,
un mero plagio dell'Iliade,
una cosa che taccia,
foglia che torna sul ramo,
molto dopo essere caduta.

È nata per essere spiaggia,
forse Andromeda, Andartide,
Himalaya, sillaba sentita,
è nata per essere ultima
a chi non era ancora nato.

Parole portate da lontano,
per le acque del Nilo,
un giorno, questa pagina, papiro,
finirà per essere tradotta,
in simbolo, in sanscrito,
in tutti i dialetti dell'India
finirà a dire buongiorno
a ciò che si dice solo nell'orecchio,
finirà per essere la pietra tagliente
dove qualcuno lasciò cadere il bicchiere.
Non è così che va la vita?

* * *



Verdura
(da "Outras Palavras", 1981)

All'improvviso
mi ricordo del verde
del colore verde
il più verde che esiste
il colore più allegro
il colore più triste
il verde che vesti
il verde che vestivi
il giorno che ti ho vista
il giorno che mi hai visto


All'improvviso
ho venduto i miei figli
a una famiglia americana
hanno una macchina
hanno la grana
hanno una casa
l'erba è fresca
solo così possono tornare
e prendere il sole a Copacabana

3 commenti:

Marco Bertoli ha detto...

Dico la verità, mi sembre un Guido Catalano un momentino più affinato!

anonimo ha detto...

parlava anche il polacco, lingua di suo padre (secondo alcuni parlava 10 lingue)

sergio pasquandrea ha detto...

il paragone non è tanto peregrino, Marco. Leminski ha una vena ironica, ma tutt'altro che cabarettistica.
comunque le più belle sono intraducibili, o perché sono sperimentazioni grafiche, o perché sono basate su giochi metrici-fonetici-semantici che in traduzione si perdono.