lunedì 28 luglio 2014

diario toscano - secondo giorno

27 luglio 2014 – secondo giorno

La mamma ha l'allergia. Elena pure. E Lorenzo è raffreddato. Ma il vero problema è che la sinfonia dei nasi soffiati è profondamente aritmica. Prima o poi il papà dovrà decidersi a dare ordine al tutto. Una bella partitura scritta è quel che ci vuole.

Il profumo dei pini alle sette e mezza del mattino. Oh, adesso cominciamo a ragionare...

“Mamma, lo tai? La tella sembla neve, ma neve mallone!”.

“Papà... pecché i camion che tlappottano la tella tlappottano la tella?”.

Pagine e pagine di appunti, che non finiranno mai nel libro, ma che ne costituiscono una parte essenziale.

Un grazie al meteo, che rende infinitamente ricche di sorprese le nostre giornate. Tempo così-così alle 7,30, nero cupo alle 9, magnificamente soleggiato a mezzogiorno.

“Lo slancio di allegria puerile che aveva trascinato Robinson ricadde mentre si dissipava anche quella specie di ebbrezza in cui lo aveva trattenuto il suo lavoro forsennato. Si sentiva sprofondare in un abisso di sconfortante abbandono, nudo e solo, senz'altra compagnia che quella di due cadaveri in putrefazione sul ponte di un relitto. Solo più tardi avrebbe capito la portata di quell'esperimento di nudità che faceva per la prima volta. Certo, né la temperatura né un qualsiasi senso del pudore l'obbligavano a portare abiti da uomo civile. Ma se fino ad allora li aveva conservati per abitudine, ora provava attraverso la disperazione il valore di quell'armatura di lana e di tela con cui la società umana lo teneva avvolto fino a un momento prima. La nudità è un lusso che solo l'uomo caldamente attorniato dalla moltitudine dei suoi simili può offrirsi senza pericolo. Per Robinson, fino a quando non avesse cambiato anima, era una prova mortalmente temeraria. Spoglia di quelle povere vesti – consunte, lacere, imbrattate, ma nate da molti millenni di civiltà e impregnate di umanità –, la sua carne era offerta vulnearabile e bianca all'infuriare degli elementi bruti. Il vento, gli spini, le pietre e perfino quella luce spietata accerchiavano, aggredivano e straziavano una preda indifesa. Robinson si sentì morire. Quale creatura umana era stata mai sottoposta a una prova tanto crudele?”
(Michel Tournier, “Venerdì o il limbo del Pacifico”, pagg. 32-33)

Mens sana in corpore sano. Quanti si rendono conto che non si tratta di un semplice complemento di luogo, bensì di una relazione causale?

Schiaccia e finocchiona. Il bouquet dei sapori estivi è quasi completo.

Non abbiamo TV: per scelta. La connessione è limitata dalla lentezza del mio computer e dalla limitata banda del wireless offerto dal campeggio. Pochi vestiti, pasti essenziali, spazi abitativi spartani, molta aria aperta. La costa, qui, è quasi sempre ventilata.
La patina della civiltà poco a poco si assottiglia. La mente comincia a levigasi, i pensieri si fanno più precisi.

“Qui non si tratta soltanto di sopravvivere. Sopravvivere equivale a morire. Occorre costruire, oganizzare, ordinare, pazientemente e senza tregua. Ogni fermata è un passo indietro”.
(Michel Tournier, ib., pag. 52)

“Oggi mi accorgo di quanto sia folle e malvagio chi calunnia questa istituzione divina: il denaro! Esso spiritualizza tutto quello che tocca dandogli una dimensione razionale – commensurabile – e nello stesso tempo universale – poiché un bene calcolato in denaro diventa spiritualmente accessibile per tutti gli uomini. La venalità è una virtù cardinale: l'uomo venale sa far tacere i propri istinti omicidi e asociali – senso dell'onore, amor proprio, patriottismo, ambizione politica, fanatismo religioso, razzismo – per lasciar parlare soltanto la propensione a cooperare, il gusto degli scambi fruttiferi, il senso della solidarietà umana. L'espressione età dell'oro va presa alla lettera, e ben vedo che l'umanità la raggiungerebbe rapidamente se alla sua guida vi fosseo soltanto uomini venali. Disgraziatamente, son quasi sempre uomini disinteressati quelli che fanno la storia, ed ecco il fuoco distruggere tutto, ecco il sangue scorrere a fiotti. I grandi mercanti di Venezia ci dànno l'esempio della felicità fastosa di uno Stato guidato dalla sola legge del lucro, mentre i lupi famelici dell'Inquisizione ci mostrano di quali infamie siano capaci gli uomini che hanno perduto il gusto dei beni materiali. Gli unni si sarebbero in breve fermati nella loro rovinosa irruzione, se avessero saputo profittare delle ricchezze conquistate. Appesantiti da queste si sarebbero stabiliti per goderne meglio e le cose avrebbero ripreso il suo corso naturale. Ma erano bruti disinteessati che disprezzavano l'oro. E si precipitavano sempre avanti, bruciando tutto lungo il loro passaggio.”
(ib., pp. 62-63)

“Venerdì o il limbo del Pacifico” è una riscrittura del “Robinson Crusoe”. Giuro che non l'ho scelto di proposito (il libro dormiva sullo scaffale da anni, da dove l'ho prelevato in base a un richiamo impellente, che ormai non tento nemmeno più di spiegarmi), ma è una lettura marina, singolarmente adeguata all'estate.
Per inciso: sempre più considero Tournier uno dei grandi del Novecento, soprattutto per come riesce a coniugare una forma all'apparenza tradizionale con la sperimentazione più raffianta, la concretezza realistica con la più ardua speculazione filosofica e la più febbrile elaborazione fantastica.
Forse il romanzo ha ancora frecce al suo arco e il secondo Novecento l'ha dichiarato morto troppo prematuramente. Di suo ho letto “Gilles e Jeanne” e “Il re degli ontani”, e dopo questo già mi aspetta “Lo specchio delle idee”.
Capisco anche perché Calvino amasse Tournier (è tramite suo che l'ho scoperto), e in particolare questo romanzo. Il Robinson di Tournier è l'eroe dell'esattezza geometrica contro la natura molle e avvolgente dell'isola tropicale. Tema calviniano quant'altri mai (vedi G. C. Ferretti, "Le capre di Bikini").

“Quel concetto di profondità di cui non avevo mai pensato a esaminare l'uso che se ne fa in espressioni come 'una mente profonda', 'un amore profondo'... Strano patito preso che valorizza ciecamente la profondità a scapito della superficie, pretendendo che 'superficiale' significhi non già 'di vasta estensione', ma 'di poca profondità', mentre invece 'profondo' vuol dire 'di gande profondità' e non 'di superficie ristretta'. Eppure un sentimento come l'amore si misura, mi sembra – ammesso di poterlo misurare – molto meglio dall'importanza della sua superficie che non dal suo grado di profondità. Così misuro il mio amore per una donna dal fatto che amo egualmente le sue mani, gli occhi, il passo, le vesti consuete, gli oggetti familiari, quelli che tocca di continuo, i paesaggi dove l'ho veduta muoversi, il mare dove ha preso il bagno... Tutto ciò è superficie, mi sembra! E invece un sentimento mediocre mira direttamente – in profondità – soltanto al sesso, lasciando tutto il resto in una penombra indifferente”.
(Michel Tournier, ib., pag. 69)

Ore quindici. Il cielo è diviso esattamente a metà. Sopra di noi e verso sud c'è una giornata estiva completamente serena, mentre verso nord-est il cielo è plumbeo ed emette minacciosi brontolii di tuono. Il confine tra le due metà coincide con il lato estremo della grande insenatura a semicerchio su cui si distende la spiaggia, e in particolare con l'alto e scosceso sperone di roccia che la delimita a nord, coperto i pini e di enormi agavi, sulla cui sommità sorge una vecchia casa (forse una villa? non l'ho mai capito) dotata di una sorta di tozzo torrione, che a me ha sempre fatto venire in mente la casa dei doganieri di Montale (“sul rialzo a strapiombo sulla scogliera”).

Il contatto diretto della pelle con la sabbia, senza il filtro dell'asciugamano, senza le palafitte delle sdraio. I bambini lo fanno naturalmente, per gli adulti serve uno sforzo razionale, in senso uguale e contrario alla trazione esercitata dalle abitudini civilizzate.

L'ozio affina i pensieri. L'otium.

Temporale improvviso, accompagnato da sole e frinire di cicale. Torniamo al bungalow e ne approfittiamo per un giretto in bici per il campeggio.

La stanchezza che si sente dopo una giornata di mare. Un particolare tipo di stanchezza. Non quella nervosa e anchilosante di un giorno lavorativo, piuttosto un torpore diffuso, languido, odoroso di sale. La doccia lo trasforma in un placido invito a sprofondare nel sonno.

Vabbè, noi italiani saremo mammoni. Ma voi ce lo mandereste un bambino di sei anni a prendere l'acqua alla fontana, da solo, di sera, con il buio? Che poi si perde e piange disperato, povera creatura.

Per qualche strano motivo, suonare la chitarra, che strimpello atrocemente, mi dà più piacere che non suonare il pianoforte, strumento dal quale – con un po' di impegno – riesco a tirar fuori qualcosa di vagamente ascoltabile.

1 commento:

amanda ha detto...

ma si è perso davvero?
la chitarra strimpellata al mare è la morte sua :D