giovedì 27 febbraio 2014

je est un autre




Adesso farò qualcosa che non si dovrebbe fare.
Uno che scrive non dovrebbe parlare di ciò che scrive: già scrivere è una forma di impudicizia, ma commentare ciò che si scrive è addirittura esibizionismo.
Eppure, una cosa devo dirla. Ho sempre più bisogno di forma. Il verso libero comincia a darmi l'orticaria. Sento la necessità che il ritmo sia regolare, a volte addirittura che la metrica sia quadrata, tradizionale. Non so se qualcuno ci ha fatto caso, ma molte delle ultime poesie sono scritte in endecasillabi e settenari.
Non è colpa mia, è che proprio mi vengono così.
Ciò ha anche una strana conseguenza. Sta per uscire una cosa mia; forse anche due, ma sulla seconda ancora non posso sbilanciarmi. E io, rileggendole, non le riconosco più. Non mi sembra di averle scritte io.
È una sensazione strana, ma forse anche naturale: quando i libri sono consegnati alla carta, il compito di chi li ha scritti è terminato. Ora comincia quello dei lettori (se mai ce ne saranno).
Buona fortuna.

3 commenti:

Daniele Barbieri ha detto...

Capisco benissimo sia il bisogno di forma, che la sensazione di distacco che dà all'autore un'opera conclusa.
Ma non riesco a rappacificarmi con endecasillabi e settenari. Quando ho scritto con questi versi, che pure a me escono facili, frequentemente poi il risultato mi suonava per qualche verso falso. Il problema è che questi versi portano con sé un gran peso di tradizione, ed è molto difficile usarli, scrivendo, evitando che questo peso si senta troppo.
Io ho finito per cercare di costruirmi una metrica che fosse poco familiare all'orecchio italiano, e soprattutto distante (seppur non incompatibile) con le sonorità dell'endecasillabo. Questo mi permette di sentirmi inquadrato in una forma, per quantità prosodica e accenti, senza caricarmi troppo della nostra tradizione secolare.
E' un tema intrigantissimo.

sergio pasquandrea ha detto...

io, in realtà, non l'ho fatto apposta, è proprio che mi vengono.
però, quando me ne accorgo, cerco di dissimularli, di spezzare il ritmo.
è una fatica di Sisifo...

altre volte, cerco di regolarizzare l'andamento accentuale, usando per esempio moduli di 3 o 4 accenti per volta.
insomma, ci sto lavorando.

Daniele Barbieri ha detto...

E' successo lo stesso anche a me. E poi mi ci è voluto un sacco di tempo per trovarmi una regola che mi permettesse di evitare il problema già dall'inizio, in fase di prima stesura (proprio per evitare quella tua fatica di Sisifo).
Poi, piano piano, la nuova forma ha iniziato a entrarmi nelle orecchie, e a sostituire i nuovi automatismi ritmici ai vecchi (quelli basati all'endecasillabo). Resta una fatica di Sisifo, ma almeno ho l'impressione di aver trovato un mio respiro.