Ventisei quaderni dalla copertina blu si ammucchiano sulla mia scrivania. Ventisei ragazzi di quattordici anni circa hanno fatto un componimento di geografia. Sì, insegno geografia e storia.
Fuori c'è ancora il sole. Come si deve stare bene nei parchi! Ma il dovere innanzi tutto. Correggo i quaderni e noto sul mio taccuino i buoni e i cattivi.
L'argomento, imposto dal consiglio, è questo: "Perché abbiamo bisogno di colonie?" Sì, perché?
Vediamo un po'.
Il nome del primo scolaro incomincia per B. Si chiama Bauer, Franz Bauer. In questa classe non ci sono nomi che cominciano per A. In compenso, abbiamo cinque B. Una rarità, tanti B, su ventisei scolari in tutto. E' vero che due sono gemelli.
Scorro macchinalmente la lista alfabetica dei nomi e constato che i B fanno concorrenza agli S. Sì, ci sono quattro S, tre M, due E, due G, due L, due R, un F, un H, un N, un T, un W, uno Z, mentre non ci sono né A, né C, né D, né I, né O, né P, né, Q, né U, né V, né X, né, Y.
Ebbene, Franz Bauer, perché abbiamo bisogno di colonie?
"Abbiamo bisogno di colonie perché abbiamo bisogno di materie prime in grande quantità; senza materie prime non potremmo far funzionare come si dovrebbe la nostra industria, con la spiacevole conseguenza che il nostro lavoratore ridiventerebbe disoccupato".
Benissimo, caro Bauer.
"Ma non si tratta soltanto dell'operaio".
E di che cosa allora, Bauer?
"Si tratta di tutta la nazione, poiché, in definitiva, anche l'operaio fa parte della nazione".
Già, in definitiva, questa è davvero una scoperta straordinaria, penso; e mi colpisce una volta di più la constatazione che spesso ai nostri giorni verità vecchie come il mondo passano per parole d'ordine nuove fiammanti. O sarà sempre stato così?
Non ne so nulla.
So soltanto che devo leggere e rileggere ventisei compiti, che, da premesse storte, traggono conclusioni false. Come sarebbe bello se storto e falso si neutralizzassero a vicenda. Ma non lo fanno, passeggiano insieme a braccetto, e cantano frasi vuote.
Mi guarderò bene, naturalmente, come funzionario dello Stato, dal muovere la più piccola obiezione a questo grazioso canto. Mi dà fastidio, certo; ma che cosa si può fare, quando si è soli contro tutti? Nient'altro che avvelenarsi il sangue.
Spicciati a correggere, che devi ancora andare al cinema. Ma che cosa scrive quest'altro...?
"Tutti i negri sono mascalzoni, vili e pigri."
Una cosa davvero troppo stupida, questa. Cancelliamo.
E scrivo in margine, con inchiostro rosso: "Assurda generalizzazione!" Mi fermo. A proposito, non l'ho udita poco fa, questa frase sui negri? Dove? Ah, ecco, in trattoria, urlata dall'altoparlante. Sì, e mi aveva quasi tolto l'appetito.
Lascio quindi la frase intatta, poiché nessun professore ha il diritto di cancellare in un quaderno ciò che si dice per radio. E, mentre seguito a leggere, odo continuamente la radio: sussurra, stride, urla, geme, minaccia. E i giornali riportano le sue parole, e i ragazzi le copiano.
Fuori c'è ancora il sole. Come si deve stare bene nei parchi! Ma il dovere innanzi tutto. Correggo i quaderni e noto sul mio taccuino i buoni e i cattivi.
L'argomento, imposto dal consiglio, è questo: "Perché abbiamo bisogno di colonie?" Sì, perché?
Vediamo un po'.
Il nome del primo scolaro incomincia per B. Si chiama Bauer, Franz Bauer. In questa classe non ci sono nomi che cominciano per A. In compenso, abbiamo cinque B. Una rarità, tanti B, su ventisei scolari in tutto. E' vero che due sono gemelli.
Scorro macchinalmente la lista alfabetica dei nomi e constato che i B fanno concorrenza agli S. Sì, ci sono quattro S, tre M, due E, due G, due L, due R, un F, un H, un N, un T, un W, uno Z, mentre non ci sono né A, né C, né D, né I, né O, né P, né, Q, né U, né V, né X, né, Y.
Ebbene, Franz Bauer, perché abbiamo bisogno di colonie?
"Abbiamo bisogno di colonie perché abbiamo bisogno di materie prime in grande quantità; senza materie prime non potremmo far funzionare come si dovrebbe la nostra industria, con la spiacevole conseguenza che il nostro lavoratore ridiventerebbe disoccupato".
Benissimo, caro Bauer.
"Ma non si tratta soltanto dell'operaio".
E di che cosa allora, Bauer?
"Si tratta di tutta la nazione, poiché, in definitiva, anche l'operaio fa parte della nazione".
Già, in definitiva, questa è davvero una scoperta straordinaria, penso; e mi colpisce una volta di più la constatazione che spesso ai nostri giorni verità vecchie come il mondo passano per parole d'ordine nuove fiammanti. O sarà sempre stato così?
Non ne so nulla.
So soltanto che devo leggere e rileggere ventisei compiti, che, da premesse storte, traggono conclusioni false. Come sarebbe bello se storto e falso si neutralizzassero a vicenda. Ma non lo fanno, passeggiano insieme a braccetto, e cantano frasi vuote.
Mi guarderò bene, naturalmente, come funzionario dello Stato, dal muovere la più piccola obiezione a questo grazioso canto. Mi dà fastidio, certo; ma che cosa si può fare, quando si è soli contro tutti? Nient'altro che avvelenarsi il sangue.
Spicciati a correggere, che devi ancora andare al cinema. Ma che cosa scrive quest'altro...?
"Tutti i negri sono mascalzoni, vili e pigri."
Una cosa davvero troppo stupida, questa. Cancelliamo.
E scrivo in margine, con inchiostro rosso: "Assurda generalizzazione!" Mi fermo. A proposito, non l'ho udita poco fa, questa frase sui negri? Dove? Ah, ecco, in trattoria, urlata dall'altoparlante. Sì, e mi aveva quasi tolto l'appetito.
Lascio quindi la frase intatta, poiché nessun professore ha il diritto di cancellare in un quaderno ciò che si dice per radio. E, mentre seguito a leggere, odo continuamente la radio: sussurra, stride, urla, geme, minaccia. E i giornali riportano le sue parole, e i ragazzi le copiano.
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio (1938)
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