giovedì 27 gennaio 2011

divinizzazioni


Che la religione pubblica fosse decaduta in misura notevole in Atene, nel cinquantennio dopo Cheronea, lo possiamo arguire dall'inno di Ermocle a Demetrio Poliorcete: in nessun'altra epoca anteriore sarebbe stato possibile cantare, in occasione di una grande solennità pubblica, un inno in cui si dice che gli dèi della città o sono indifferenti, o non esistono, e che un vero dio, lo stesso Demetrio, ha ormai sostituito quelle inutili immagini di legno o di pietra. [...] Il motivo adulatorio può non essere sincero, ma lo scetticismo è evidentemente effettivo, anzi doveva essere assai diffuso, perché si dice che l'inno fosse popolarissimo. Che il culto ellenistico del monarca fosse sempre poco sincero, che fosse una montatura politica e niente altro, non lo crederà nessuno che abbia osservato, ai nostri giorni, il costante aumento dell'entusiasmo delle masse nei confronti di re, di dittatori, o, in mancanza di meglio, di campioni sportivi (*). Quando i vecchi dèi si ritirano, i troni vuoti invocano a gran voce un successore, e con una certa regìa, o anche senza senza regìa (**), un mortale qualsiasi può venir elevato sino al soglio vacante. Credo che il culto del monarca, e le forme analoghe, antiche e moderne, quanto al senso religioso che possono avere per l'individuo, siano anzitutto espressione di una dipendenza impotente: chi considera divino un altro essere umano pone se stesso nella posizione correlativa di bambino o di animale.



(*) E non siamo i soli. Il V secolo, con l'approvazione di Delfi, "eroizzava" i suoi grandi atleti, e talvolta i suoi grandi uomini, secondo ogni verosimiglianza per soddisfare al desiderio popolare; mai, però prima che fossero morti. Forse una tendenza in questo senso è sempre esistita, in ogni tempo e in ogni luogo, ma un concetto serio del soprannaturale riesce a tenerla a freno. Gli onori tributati a un Brasida impallidiscono accanto a quelli che riceveva pressoché qualsiasi re ellenistico, e Hitler si è avvicinato alla divinizzazione più di qualsiasi altro conquistatore dell'età cristiana.

(**) Parrebbe che, una volta contratta l'abitudine, gli onori divini fossero spesso offerti spontaneamente, perfino dai Greci; e in qualche caso chi li riceveva ne era sinceramente imbarazzato, ad esempio Antigono Gonata, che sentendosi definire un dio, ribattè seccamente, "Chi vuota il mio orinale non se ne è accorto" (Plutarco, Is. et Os., 24, 360 CD)


Eric R. Dodds, "Il timore della libertà",
in I Greci e l'irrazionale (1951)

1 commento:

amanda ha detto...

meno male che silvio c'è