giovedì 27 gennaio 2011

sopravvissuti


Il 30 marzo 1944 le vacanze di Pasqua avrebbero dovuto ricondurmi a Lusigny. Non ricordo perché mi trovassi, invece, a Neuilly. Quel giorno, all'alba, elementi di un reggimento ucraino comandati da sottufficiali tedeschi circondarono Lusigny e iniziarono una perquisizione che aveva tutta l'aria di una spedizione punitiva. Per ore e ore i soldati circolarono per le case, rompendo e saccheggiando tutto quello che capitava loro sotto mano. [...] Tutti i maschi di più di quindici anni erano chiusi nella chiesa. Più tardi furono condotti nel bosco. Credettero di venir portati alla fucilazione. Ma al momento era solo per fargli seppellire nove partigiani uccisi nel corso di uno scontro che era all'origine di tutto. Alla fine, quattordici persone vennero caricate sui camion e spedite in direzione ignota. La famiglia Fournier vide partire il padre, il garzone di quindici anni e i due figli maggiori, tutti accusati di aver foraggiato il "maquis" [la Resistenza antinazista francese]. Era la "mia" famiglia. Avrei dovuto conoscere Buchenwald con loro. Questo nome non era ancora valutato come sinistro quando più tardi cominciò a circolare nel villaggio, e qualcuno venne a domandare a mia madre che aveva viaggiato in Germania se sapesso qualcosa di quella località. [...] Buchenwald? No, lei non ne sapeva nulla. Nessuna carta della Germania registrava il nome. Voleva dire Foresta di faggi. Non era rassicurante? I nostri deportati avrebbero fatto i boscaioli...
Non tornarono tutti, e, tra quelli che tornarono, certi come papà Fournier avevano qualcosa di rotto dentro. Vegetarono e si lasciarono morire. Quando si parla di vittime dei lager, si contano solo quelli che vi sono morti. Bisognerebbe pensare anche a quelli che, essendosi aggrappati alla vita nell'ossessiva attesa della liberazione, effettivamente liberati, ma separati per sempre dagli altri a causa di quello di cui erano stati testimoni, si lasciarono scivolare nella morte, avendo esaurito ogni energia. La loro percentuale è spaventosa.

Michel Tournier

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