giovedì 5 novembre 2009

recensioni in pillole 42 - "Il poema dei lunatici"

Ermanno Cavazzoni, Il poema dei lunatici, Bollati Boringhieri 1987 (299 pp.)

Ci sono, nella nostra letteratura, delle linee sotterranee.
Una è quella padana, che comprende autori nati lungo il corso del Po o nelle immediate vicinanze: Cesare Zavattini, Tonino Guerra, Corrado Govoni, Giovanni Guareschi, Antonio Delfini, Arturo Loria, Luigi Malerba, Gianni Celati, e si può arrivare tranquillamente fino a Stefano Benni o Pier Vittorio Tondelli, o includere Fellini, o i numerosi spunti gotico-orrorifici presenti nel cinema di Pupi Avati, o la pittura di Antonio Ligabue, o certe eterodosse esplorazioni storico-antropologiche di Piero Camporesi.
Elemento comune è una tendenza alla levitazione fantastica, una vena di follia che può assumere di volta in volta toni comici, o lunari, o surreali, o grotteschi, o magici. (Volendo, ci sarebbero anche due padri storici: Boiardo e Ariosto). Ermanno Cavazzoni, nato a Reggio Emilia nel 1947, si inserisce in pieno in questa linea.
Tutti i personaggi di questo libro sono, in un modo o nell'altro, “lunatici”. A partire, ovviamente, dalla coppia di protagonisti: l'io narrante, il candido Savini (ma non è il suo vero nome) e il paranoico prefetto Gonnella. Savini è impegnato in una sua personale ricognizione della Bassa Padana. Ascolta le voci dei pozzi, studia gli sfuggenti abitatori dei tubi dell'acqua, ragiona sulle strane abitudini delle madonne. Gonnella è in pensione, ma è convinto che in realtà gli sia stata assegnata dal ministero una missione segreta, anzi segretissima, talmente segreta che lui stesso non ne conosce con precisione tutti i dettagli, ma di certo la conoscono i suoi nemici, che gli mettono alle costole schiere di diabolici vecchi.
Savini e Gonnella sono due picari stralunati, e il loro sguardo sghembo distorce il mondo in una continua, ilare e insieme inquietante allucinazione.
Il romanzo non è altro che il resoconto delle loro esplorazioni. Di qui prese (liberamente) spunto Federico Fellini per il suo ultimo film, “La voce della luna” (1990), protagonisti Roberto Benigni e Paolo Villaggio.

(Per chi fosse interessato, “Il poema dei lunatici” è stato ripubblicato nel 1996 da Feltrinelli e nel 2008 da Guanda, con la copertina riprodotta in alto a sinistra).

2 commenti:

lazard ha detto...

l'idea di questo libro mi colpì e lo acquistai. avevo letto di cavazzoni solo le vite brevi d'idioti. avevo visto La voce della Luna del mio regista preferito. quindi mi sono avventurato nel poema dei lunatici. devo dire che sono sostanzialmente d'accordo con te quando parli di linee sotterranee e del come e perché cavazzoni vi vada inserito. d'altronde non esprimi un giudizio sul libro e quindi su questo non ci possiamo confrontare. certo mi appare che tutto sommato non ti sia dispiaciuto ed anzi tutto il filone magico-grottesco padano ti sia simpatico. è solo un'impressione, ovvio.
per quanto mi riguarda, credo che cavazzoni abbia davvero talento, ed anzi sia proprio pieno di stile. prosa immaginifica e molto figurativa. l'impasto tra ritmo, suono e significato delle parole è notevole, la suona vermanete bene la sua trombetta. solo che è un suonare senza pubblico quasi. un andare a spezzarsi il collo da solo. se, come nei racconti, la narrazione dura poco, è un poetare gradevole, di piacere. se invece inizia ad allungarsi come nel poema dei lunatici, inizia ad essere difficile controllare lo spirito e non scaraventare il pacchetto dalla finestra. perché? perché non c'è la vita lì dentro. nulla. zero. se ariosto poteva permettersi di fare un poema con dei pazzi fondamentalmente che partivano alla ricerca di che cosa poi? la donna, le passioni, l'arbitrio... oggi quella poemiale in quel senso è una letteratura che ha perso il contatto col lettore. i pazzi piacciono, ma devono essere fatti di carne e ossa. qui si va per salti. si prende tutto a ridere. si è nella carta. e le parole, per me, devono volare oltre la carta.

ciao

sergio pasquandrea ha detto...

è vero, il libro sulla lunga distanza mostra un po' la corda.
però leggendolo mi sono divertito, e tanto mi basta.