sabato 4 aprile 2009

ancient to future



"Varrebbe la pena di ripensare il senso dell'interpretazione musicale, dalle riletture più o meno fedeli al fenomeno del revival, ovvero a come diversamente si organizzano nella musica colta e nella tradizione jazzistica le riprese del passato. Se nella prima tendono a misurare la distanza tra un prima e un dopo, fra ciò che è stato e ciò che è, marcando le tappe di un avanzamento scandito con rigore quasi militare (di cui è spia l'origine del termine "avanguardia") e fiducioso nelle possiblità conoscitive individuali, nella seconda indicano piuttosto i modi di un'ininterrotta ricerca di identità, fondata sul passato ma proiettata nel futuro e vissuta nel presente alli'nterno di una dimensione comunitaria. Nel lavoro del jazzman, infatti, non è mai questione di ripristino archeologico dell'esattezza dei ricordi, di fiducia nell'oggettività della memoria, quanto pittosto di assunzione critica della propria storia: è questione di riordinare le contingenze passate dando loro il senso delle necessità future, poiché la ripetizione è una forma di storicizzazione. Che questo avvenga prioritariamente nella dimensione dell'oralità costituisce una delle ragioni per cui la koine jazzistica non vive quell' "angoscia dell'influenza" che a parere di Harold Bloom caratterizza il lavoro dell'artista occidentale, la sua perenne ricerca d'originalità. Come ha scritto John P. Murphy, la scelta dell'improvvisazione e la valorizzazione del momento performativo evidenzano semmai una profonda "gioia" dell'influenza, ovvero la sua esplicita celebrazione. Non a caso anche gli artisti più radicali e innovatori hanno sempre ribadito il loro legame con la tradizione: da John Coltrane ad Archie Shepp, da Ornette Coleman a Cecil Taylor. Spiega a questo proposito Max Roach: "Io vedo il jazz come un grande fiume sempre in movimento, dunque ogni generazione può apportare qualcosa di nuovo. Tuttavia ogni generazione è in un certo senso obbligata a guardarsi alle spalle: quel che conta è la continuità col passato piuttosto che la rottura. Il jazz è una musica democratica, che tiene conto degli apporti individuali per arrivare a una creazione collettiva". Non so se Roach leggesse Eraclito, e tuttavia ciò che appare significativo nella scelta della metafora fluviale è propriamente il legame istituito fra essere e divenire: l'acqua del fiume non è mai la stessa, essa scorre, e giustamente ci si è domandati se sia possibile bagnarsi due volte nell'acqua dello stesso fiume. Ma è proprio l'incessante movimento del fluire a collegare la sorgente al mare, cioè l'origine al suo futuro. Per questo il fiume è divenuto fin dall'antichità figura dell'identità e metafora della vita, dal momento che, come assicurano i filosofi, la vita può essere compresa solo guardando indietro ma va vissuta guardando avanti.
Per Roach il movimento è esattamente ciò che lega, non ciò che separa. [...] Poiché tutto si organizza e si significa non nel gesto isolato dell'avanguardista, ma all'interno di una dimensione comunitaria ove si intrecciano indissolubilmente ethos e aisthesis, comportamento morale ed esperienza del bello. Per questo e altro ancora il jazz pone in essere una radicale critica delle categorie dell'estetica, in quanto forma d'espressione che mette in scacco le dicotomie a partire dalle quali l'estetica organizza il discorso sull'arte."
(Giorgio Rimondi, Il suono in figure. Pensare con la musica, Scuola di Cultura Contemporanea Mantova, 2008, pp. 105-107)

Nel video: Anthony Braxton suona Impressions di John Coltrane, accompagnato da Chick Corea (pianoforte), Miroslav Vitous (contrabbasso) e Jack DeJohnette (batteria).

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