lunedì 26 settembre 2016

Puma concolor

I carnivori tendono all'immobilità, gli erbivori al moto? Oppure: le bestie si muovono in proporzione inversa alle dimensioni?
Ai due estremi: le cavie peruviane, in agitazione perpetua nel loro minuscolo universo di paglia e sassi, e il maestoso cammello, che ci osserva muovendo soltanto la mandibola, in una rotazione da ingranaggio. Oppure: i suricati, che si azzuffano in quattro attorno a un guscio d'uovo di struzzo, e l'ippopotamo, immerso per ore e ore, emergendo di tanto in tanto per starnutire enormi spruzzi d'acqua fangosa.
Gli erbivori, comunque, si muovono. La giraffa misura il suo recinto a lenti passi asimmetrici, le zebre si lanciano tra gli struzzi con piccoli trotti zigzaganti, i gibboni eseguono complicati esercizi ginnici o si spulciano l'un l'altro con puntiglio.
Quanto ai carnivori, il lupo e la lince si sono nascosti a dormire dietro gli arbusti, l'ocelot si cela nei recessi bui della sua tana di cemento. I leoni mostrano il profilo intagliato contro il cielo opaco di foschia, le tigri offrono di scorcio la loro bellezza da arazzi, i corpi enormi immobili nel torpore. I ghepardi sono macchie di giallo violento nell'ombra.
Poi, il puma. Testa di gatto montata su corpo da leonessa, percorre il semiperimetro della gabbia: prima il tronco sospeso poi lo scalino di roccia ad esso perpendicolare, e poi indietro, e poi ancora avanti. Senza sosta, senza mai rallentare né accelerare. È così la mattina, è ancora così quando ripassiamo, nel primo pomeriggio.
Poi, all'improvviso, si ferma; siede di fronte a noi. Immobilità araldica. Fissa il vetro, anzi sembra fissare proprio noi, dritto negli occhi. Mi chiedo che cosa veda; se ci veda. Spazza la polvere con l'estremità della coda, ma per il resto sembra non respirare nemmeno.
Ci allontaniamo in punta di piedi.

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