Non tornarmi in mente, ti prego. Ho bisogno di dimenticarti.
Non farlo più.
Il tuo ricordo mi interrompe durante attività indispensabili. Mi impedisce di contare gli spiccioli del resto, di sorvegliare la cottura della pasta.
Oggi dovevo scrivere duemilacinquecento battute e invece ho perso tempo a schizzare un tuo ritratto, perché il lato interno dell’occhio si rifiutava di assumere la giusta curvatura, dico quell’angolo che piega prima in basso e poi subito verso l’alto, e che è così importante riuscire a disegnare con precisione perché tu sia tu.
Non visitarmi. O almeno chiedimi il permesso.
Mi provochi sogni collosi, materia zuccherina che non va mai via del tutto e scrocchia quando per sbaglio ci passo sopra.
Mi fai fare tardi agli appuntamenti. Sento il tuo odore dove non sei mai stata né mai potresti essere.
Non avevo pensato a te per cinque giorni almeno. Era stata una settimana di tranquilla disperazione, in cui uscivo a guardare il sole delle sei e mezzo tracciare attraverso la strada ombre nitide e del tutto soddisfacenti.
Anche adesso, che cosa ci faccio qui a scriverti? Tu non risponderai mai a questa lettera che io mai ti spedirò, come non rispondevi agli abbracci e alle poesie, e la tua gabbia toracica così stretta e fragile sembrava sempre tendere in direzione contraria, non c’erano muscoli che valessero, la tua era assenza anche quando c’eri, un vuoto solido, un campo carico di polarità repulsive.
Quella che sento pungere è la galla in cui tu stessa ti sei racchiusa, quella su cui per settimane, per mesi mi sono sbucciato le nocche.
Non farlo più.
Il tuo ricordo mi interrompe durante attività indispensabili. Mi impedisce di contare gli spiccioli del resto, di sorvegliare la cottura della pasta.
Oggi dovevo scrivere duemilacinquecento battute e invece ho perso tempo a schizzare un tuo ritratto, perché il lato interno dell’occhio si rifiutava di assumere la giusta curvatura, dico quell’angolo che piega prima in basso e poi subito verso l’alto, e che è così importante riuscire a disegnare con precisione perché tu sia tu.
Non visitarmi. O almeno chiedimi il permesso.
Mi provochi sogni collosi, materia zuccherina che non va mai via del tutto e scrocchia quando per sbaglio ci passo sopra.
Mi fai fare tardi agli appuntamenti. Sento il tuo odore dove non sei mai stata né mai potresti essere.
Non avevo pensato a te per cinque giorni almeno. Era stata una settimana di tranquilla disperazione, in cui uscivo a guardare il sole delle sei e mezzo tracciare attraverso la strada ombre nitide e del tutto soddisfacenti.
Anche adesso, che cosa ci faccio qui a scriverti? Tu non risponderai mai a questa lettera che io mai ti spedirò, come non rispondevi agli abbracci e alle poesie, e la tua gabbia toracica così stretta e fragile sembrava sempre tendere in direzione contraria, non c’erano muscoli che valessero, la tua era assenza anche quando c’eri, un vuoto solido, un campo carico di polarità repulsive.
Quella che sento pungere è la galla in cui tu stessa ti sei racchiusa, quella su cui per settimane, per mesi mi sono sbucciato le nocche.
1 commento:
bellissimo frammento.
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