lunedì 18 gennaio 2016

l'immaginario collettivo

Non so quanti, fra i ventiquattro lettori di questo blog, sono su Facebook o su qualche altro social network.
Comunque, la scorsa settimana c'è stata, com'era prevedibile, un'inondazione di post dedicati alla morte di David Bowie.
Com'era pure prevedibile, c'è stata una moderata quantità di post dedicati alla scomparsa di Pierre Boulez, mentre il povero Paul Bley se lo sono filati solo quei quattro gatti che ascoltano il jazz.
E fin qui, nulla di strano. Del resto, è stato così anche sui giornali e in tivvù. Certo, a me piacerebbe vivere in un mondo in cui la casalinga di Voghera ascolta il Marteau sans maître e ricanta a memoria tutti gli assoli di Footloose, ma così non è, né sarà mai.

Però quello che mi ha colpito è stata la quantità di post sul tono "sì, ma tutti questi che adesso postano canzoni di Bowie mica lo sanno chi era Bowie". Come se per postare "Starman" o "Space Oddity" si dovesse prima fare un esame su vita, morte e miracoli di David Bowie.
Per dire: anch'io, che pure sono tutt'altro che un appassionato di rock, conosco "Heroes", "Under Pressure", "Life on Mars" e almeno altre cinque o sei sue canzoni, di cui magari non ricordo nemmeno i titoli. E le conosce anche la casalinga di Voghera.
Ciò significa che Bowie ha scritto una manciata di brani entrati nell'immaginario collettivo. "That is that", per citare un suo verso. Ciò non è, di per sé, né un titolo di merito, né di demerito. Nell'immaginario collettivo ci sono sia "Romagna mia", sia l'attacco della Quinta di Beethoven.

(Tra parentesi e in ultima battuta, perché non è che la mia opinione conti più di tanto: Bowie, a mio umilissimo parere, è stato un musicista intelligente, preparato, mai banale, che ha lavorato all'interno delle convenzioni del rock e del pop con una consapevolezza rara dei meccanismi musicali ed extramusicali. E per capire che cosa succedeva nel mondo nel 1972, forse The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars è più utile che non …explosant-fixe oppure Open, to Love
Con tutto che Open, to Love è uno dei miei dischi da isola deserta).

1 commento:

Marco Bertoli ha detto...

Capisco che cosa intendi. La morte di una persona famosa, oppure un grande lutto pubblico, è l'occasione per attuare quel gran meccanismo di riconoscimento, di appartenenza che è il motore psicologico di Facebook per come l'ho capito io. Poi, un istante dopo o simultaneamente, ecco la necessità, comunque, di distinguersi.

Era successo un anno fa con la strage dei vignettisti francesi: «a cadaveri ancora caldi», come si dice, su Facebook c'era già chi sbraitava livoroso con chi manifestava cordoglio senza, a suo dire, esserne all'altezza: come se per provare scandalo e dolore per quelle morti fosse stato necessario conoscere e magari apprezzare quelle stupidissime vignette.