Non so quanti, fra i ventiquattro
lettori di questo blog, sono su Facebook o su qualche altro social
network.
Comunque, la scorsa settimana c'è
stata, com'era prevedibile, un'inondazione di post dedicati alla
morte di David Bowie.
Com'era pure prevedibile, c'è stata
una moderata quantità di post dedicati alla scomparsa di Pierre
Boulez, mentre il povero Paul Bley se lo sono filati solo quei
quattro gatti che ascoltano il jazz.
E fin qui, nulla di strano. Del resto,
è stato così anche sui giornali e in tivvù. Certo, a me piacerebbe
vivere in un mondo in cui la casalinga di Voghera ascolta il
Marteau sans maître e ricanta a memoria tutti gli assoli di
Footloose, ma così non è,
né sarà mai.
Però
quello che mi ha colpito è stata la quantità di post sul tono
"sì, ma tutti questi che adesso postano canzoni di Bowie mica lo
sanno chi era Bowie". Come se per postare "Starman" o "Space Oddity"
si dovesse prima fare un esame su vita, morte e miracoli di David
Bowie.
Per dire: anch'io, che pure sono tutt'altro che un appassionato di rock, conosco "Heroes", "Under Pressure", "Life on Mars" e almeno altre cinque o sei sue canzoni, di cui magari non ricordo nemmeno i titoli. E le conosce anche la casalinga di Voghera.
Ciò significa che Bowie ha scritto una manciata di brani entrati nell'immaginario collettivo. "That is that", per citare un suo verso. Ciò non è, di per sé, né un titolo di merito, né di demerito. Nell'immaginario collettivo ci sono sia "Romagna mia", sia l'attacco della Quinta di Beethoven.
Per dire: anch'io, che pure sono tutt'altro che un appassionato di rock, conosco "Heroes", "Under Pressure", "Life on Mars" e almeno altre cinque o sei sue canzoni, di cui magari non ricordo nemmeno i titoli. E le conosce anche la casalinga di Voghera.
Ciò significa che Bowie ha scritto una manciata di brani entrati nell'immaginario collettivo. "That is that", per citare un suo verso. Ciò non è, di per sé, né un titolo di merito, né di demerito. Nell'immaginario collettivo ci sono sia "Romagna mia", sia l'attacco della Quinta di Beethoven.
(Tra
parentesi e in ultima battuta, perché non è che la mia opinione
conti più di tanto: Bowie, a mio umilissimo parere, è stato un
musicista intelligente, preparato, mai banale, che ha lavorato
all'interno delle convenzioni del rock e del pop con una
consapevolezza rara dei meccanismi musicali ed extramusicali. E per
capire che cosa succedeva nel mondo nel 1972, forse The
Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars
è più utile che non …explosant-fixe
oppure Open, to Love.
Con tutto che Open, to Love è
uno dei miei dischi da isola deserta).
1 commento:
Capisco che cosa intendi. La morte di una persona famosa, oppure un grande lutto pubblico, è l'occasione per attuare quel gran meccanismo di riconoscimento, di appartenenza che è il motore psicologico di Facebook per come l'ho capito io. Poi, un istante dopo o simultaneamente, ecco la necessità, comunque, di distinguersi.
Era successo un anno fa con la strage dei vignettisti francesi: «a cadaveri ancora caldi», come si dice, su Facebook c'era già chi sbraitava livoroso con chi manifestava cordoglio senza, a suo dire, esserne all'altezza: come se per provare scandalo e dolore per quelle morti fosse stato necessario conoscere e magari apprezzare quelle stupidissime vignette.
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