domenica 22 novembre 2015

recensioni: "Il disertore"

Giuseppe Dessì, Il disertore, Mondadori, 1985 (170 pp., L. 5000)

Uno di quei libri che mi aspettavano da anni. Comprato chissà dove (su qualche bancarella dell'usato, a giudicare dal grado di consunzione), era rimasto su uno scaffale in attesa dell'occasione giusta. Da lì l'ho ripescato perché mi serviva un compagno di viaggio, e quelle centocinquanta paginette in formato Oscar erano l'ideale da infilare in tasca.
Lo sfondo del romanzo è il paesino sardo di Cuadu, negli anni del primo dopoguerra. La società fino ad allora immobile, dominata dai prinzipales, potentissima casta di proprietari terrieri, è sconvolta dagli echi che arrivano dal “continente”: la propaganda socialista, i primi Fasci di combattimento. L'occasione per il racconto è un monumento ai caduti, che il Comune vuole erigere nella piazza. Durante la raccolta dei fondi per la statua, Mariangela Eca, una povera contadina, madre di due figli entrambi caduti in guerra, che campa facendo la serva a casa del prete e raccogliendo fascine, compie un gesto inaudito: dona tutti i suoi risparmi, più di ottocento lire.
Ma tutto ciò è solo un pretesto, perché il vero nucleo narrativo è un altro. Ciò che nessuno sa è che il maggiore dei figli di Mariangela, Saverio, non è affatto caduto in combattimento, ma ha disertato, ha raggiunto il paese ed è stato nascosto dalla madre, per poi morire di malaria dopo pochi giorni. L'unico a condividere il segreto è il vecchio prete, don Pietro Coi, al quale Saverio, in punto di morte, ha confessato il reale motivo della sua diserzione: durante una battaglia, ha ucciso il suo capitano sparandogli alla schiena. Un gesto assurdo, tanto più che l'ufficiale gli era sempre stato amico.
Il centro del romanzo è il confronto fra le coscienze dei due personaggi: il dolore silenzioso, arcaico della madre, e il tormento interiore del prete, che scopre di non riuscire in alcun modo a condannare il gesto dell'uomo, perché la colpa non è sua, “la colpa è di chi vuole la guerra, di chi non sa evitare la guerra”.
Una narrazione fatta di silenzi, raccontata con uno stile secco, essenziale, che trasmette il senso di un dolore assoluto, quasi metafisico, che pervade gli uomini e il paesaggio.

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