Giuseppe Dessì, Il disertore,
Mondadori, 1985 (170 pp., L. 5000)
Uno di quei libri che mi aspettavano da
anni. Comprato chissà dove (su qualche bancarella dell'usato, a
giudicare dal grado di consunzione), era rimasto su uno scaffale in
attesa dell'occasione giusta. Da lì l'ho ripescato perché mi
serviva un compagno di viaggio, e quelle centocinquanta paginette in
formato Oscar erano l'ideale da infilare in tasca.
Lo sfondo del romanzo è il paesino sardo di Cuadu, negli anni del primo dopoguerra. La società
fino ad allora immobile, dominata dai prinzipales,
potentissima casta di proprietari terrieri, è sconvolta dagli echi
che arrivano dal “continente”: la propaganda socialista, i primi
Fasci di combattimento. L'occasione per il racconto è un monumento
ai caduti, che il Comune vuole erigere nella piazza. Durante la
raccolta dei fondi per la statua, Mariangela Eca, una povera
contadina, madre di due figli entrambi caduti in guerra, che campa
facendo la serva a casa del prete e raccogliendo fascine, compie un
gesto inaudito: dona tutti i suoi risparmi, più di ottocento lire.
Ma
tutto ciò è solo un pretesto, perché il vero nucleo narrativo è
un altro. Ciò che nessuno sa è che il maggiore dei figli di
Mariangela, Saverio, non è affatto caduto in combattimento, ma ha
disertato, ha raggiunto il paese ed è stato nascosto dalla madre,
per poi morire di malaria dopo pochi giorni. L'unico a condividere il
segreto è il vecchio prete, don Pietro Coi, al quale Saverio, in
punto di morte, ha confessato il reale motivo della sua diserzione:
durante una battaglia, ha ucciso il suo capitano sparandogli alla
schiena. Un gesto assurdo, tanto più che l'ufficiale gli era sempre
stato amico.
Il
centro del romanzo è il confronto fra le coscienze dei due
personaggi: il dolore silenzioso, arcaico della madre, e il tormento
interiore del prete, che scopre di non riuscire in alcun modo a
condannare il gesto dell'uomo, perché la colpa non è sua, “la
colpa è di chi vuole la guerra, di chi non sa evitare la guerra”.
Una
narrazione fatta di silenzi, raccontata con uno stile secco,
essenziale, che trasmette il senso di un dolore assoluto, quasi metafisico, che pervade gli uomini e il paesaggio.
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