sabato 31 maggio 2014

appunti di lavoro




"Malgrado la distanza cronologica dal Romanticismo, non è azzardato sostenere che ancora oggi, nella mentalità diffusa, la lirica continui a rappresentare la poesia per antonomasia. L’espressione appassionata di un io esplicito o implicito – se questo è ciò che intendiamo per lirica – continua a essere il parametro di riferimento, il sogno e l’obbiettivo della maggior parte dei lettori e, probabilmente, degli autori di poesia odierni. Si tratta, come è noto, di un’eredità romantica, che ribaltando le gerarchie neoclassiche stabilì che l’espressione breve, rapsodica, frammentaria di un soggetto fosse il vertice dell’arte poetica, degradando invece a costruzioni retoriche le forme lunghe che per secoli erano state considerate l’apice della perfezione. [...] Le aree di scrittura eredi dirette del Romanticismo, pur con vari filtri, come l’Ermetismo e il Neo-orfismo, hanno accentuato il carattere frammentario, involuto e rapsodico dell’espressione poetica, pur accogliendo alcune posizioni novecentesche, come la cancellazione di un io poetante esplicito nel caso di alcuni neo-orfici. Dice molto, comunque, il fatto che queste due “correnti” vengano considerate dalla critica come centrali nel Novecento italiano, malgrado (o forse grazie a) l’evidente epigonismo manieristico della seconda. [...]
La poesia italiana degli anni Sessanta e Settanta si è sviluppata sopra un fondo teorico novecentistico, a volte inconsapevole, secondo cui il linguaggio non è in grado di rappresentare il mondo (qualunque cosa significhino linguaggio e mondo, interiore o esteriore). Al mondo si può solo alludere ironicamente, restando chiusi nella prigione della lingua (secondo le neo-avanguardie), oppure si può alludervi tragicamente, attraverso un linguaggio criptico sempre al limite dell’incomprensibile e del gratuito (secondo i neo-orfici), oppure si può alludervi frammentariamente, per sprazzi disarticolati (secondo la Linea Lombarda). Escluso dalla poesia, perché ritenuto impoetico o intrinsecamente impossibile, rimase qualsiasi discorso compiuto, con un capo e una coda riconoscibili, articolato con chiarezza sintattica e argomentativa. Una modalità di questo tipo fu ammessa, tutt’al più, per la polemica politica, come nei versi del Pasolini più ideologizzato. Va detto, naturalmente, che diverse esperienze importanti rimasero estranee a queste idee – basti ricordare la produzione coeva di Bertolucci e Luzi o la poesia in dialetto. Oggi la situazione è molto diversa, aperta senza inibizioni ai modi di scrittura più diversi. Non si può negare, tuttavia, che l’ideologia di quel passato recente sia dura da smaltire, non solo per il fatto che i “maestri” di allora hanno provveduto e provvedono a riempire di loro seguaci gli ambienti editoriali e letterari. Il modo migliore per sfuggirvi, comunque, resta quello di varcare i confini nazionali, studiando le lingue straniere e scoprendo che i dogmi della nostra tradizione recente semplicemente non esistono. In Inghilterra e in Polonia, in Irlanda e in Scandinavia, in Nord America e nei Caraibi si sono scritte e si scrivono poesie di generi che in Italia erano stati dichiarati impossibili e fuori tempo. Che non solo sono possibili, come dimostrano Heaney e Strand, Herbert e Tranströmer, Walcott e Tomlinson e molti altri, ma sono anche piene del loro tempo più di tanto modernariato da mercatino delle aggiornatissime poetiche dei nostri anni Sessanta e Settanta."

(Edoardo Zuccato - grassetti miei)


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2 commenti:

lillo ha detto...

secondo me il problema maggiore del nostro panorama letterario è in gran parte editoriale (metto da parte per una volta i limiti dell'istruzione). la nostra editoria falsa di molto la situazione pubblicando poco e male, oppure molto e male, a seconda dei punti di vista, e con criteri di selezione molto più che discutibili. la nostra poesia è viva e vegeta e si aggiorna. solo che andrebbe detto anche a quelli nella stanza dei bottoni.

sergio pasquandrea ha detto...

in realtà, il mio interesse non era tanto per il discorso italiano / non italiano, che mi interessa abbastanza poco (il mio rapporto con l'Italia potrebbe riassumersi nei versi di Gaber: "io non mi sento italiano / ma per fortuna o purtroppo lo sono"), quanto per quello sulla poesia romantica, la lirica, il soggetto ecc. ecc.
da anni sogno una poesia che non usi la parola "io."