Alessandro Barbero, Barbari. Immigrati, profughi e deportati nell'Impero Romano, Laterza 2010 (prima ed. 2006) (337 pp., € 10,50)
Alessandro Barbero è quel tizio con sorriso a 64 denti che a “Superquark” parla di curiosità relative alla vita quotidiana dei diversi periodi storici (colgo l'occasione per spezzare una lancia in favore di “Quark” e degli Angela, padre e figlio, che per quanto ormai sbiaditi e fiacchi resistono a fare divulgazione intelligente e garbata in quell'oceano fecale che è la TV).
Barbero, comunque, è anche docente universitario con tanto di solidissimo curriculum accademico. E in questo libro (oltre duecento pagine di testo, corredate da altre sessanta di note e cinquanta di bibliografie e indici vari) affronta un problema raramente trattato in tutta la sua dimensione: quale fu la politica dei Romani nei confronti dell'immigrazione di popoli stranieri all'interno del loro impero? Barbero ripercorre una vasta rassegna, dalla prima età imperiale fino alla caduta dell'Impero d'Occidente, unendo il rigore dello studioso con l'affabilità del divulgatore.
E, nel frattempo, sfata un bel po' di luoghi comuni che ancora persistono nella storiografia corrente. Ad esempio, che tra Romani e barbari ci fosse sempre conflitto: vero, piuttosto, che sovente erano gli stessi barbari a chiedere asilo e ospitalità a Romani a loro volta ben contenti di concederla, perché acquisivano così braccia per il lavoro nei campi e spade per l'esercito (e non dimentichiamo che furono di origine barbarica gli ultimi difensori dell'Impero, come il celebre Stilicone). Che i Romani disprezzassero sempre e comunque i barbari: e invece l'Impero cercò spesso di integrare i barbari nella romanità, ad esempio concedendo loro la cittadinanza al termine del servizio nell'esercito. Che i barbari fossero selvaggi vestiti di pellicce e ornati di elmi cornuti: quando molti di loro erano ansiosi di approfittare degli agi e dei lussi offerti dalla civiltà romana. L'immagine del mondo romano che ne esce è quella di un affascinante melting pot, straordinariamente simile a quello odierno.
Il che non significa che tutto fosse rose e fiori: anzi, spesso la figura peggiore ce la fanno proprio i Romani che, con il loro brillante senso della Realpolitik, non esitavano a deportare, schiavizzare e, se necessario, trucidare senza alcuno scrupolo intere tribù riottose. Fino a cadere loro stessi, quando il loro sistema sociale e militare infine collassò.
Insomma, la storia si ripete; e tutte le volte è sempre la stessa tragedia.
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1 commento:
grazie. lo compro oggi stesso
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