Goffredo Parise, Il ragazzo morto e le comete, Neri Pozza 1951 (188 pp.)
Neri Pozza, che fu il suo primo editore, definì “Il ragazzo morto e le comete” un'opera “fuori dalla regola italiana, dalla nostra equilibrata tradizione”; Eugenio Montale parlò di “una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definiti”.
E in effetti mi risulta difficile trovare antecedenti per questo libro (e anche eredi, se è per questo; persino Parise, nella sua produzione successiva, prese tutt'altre strade). Forse gli unici paralleli che mi vengono in mente sono con scrittori che con Parise non c'entrano assolutamente niente: la Ortese de “Il cardillo innamorato” o il Bruno Schulz de “Le botteghe color cannella”, accomunati dalla stessa irriducibile e inquietante stranezza.
Quando scrisse “Il ragazzo morto”, Parise aveva vent'anni; quandò il libro uscì, nel 1951, non ne aveva ancora compiuti ventidue. Ne furono stampate mille copie (una delle quali è quella che possiedo e che ho letto: una delle mie trouvailles) e fu un insuccesso clamoroso. A Vicenza, sua città natale, tutti dissero che era “matto da legare”. Fu solo tre anni dopo, con il suo terzo romanzo, “Il prete bello”, che Parise mietè il suo primo successo di critica e pubblico, e ce ne vollero altri dieci prima che quest'opera prima fosse ristampata e riconosciuta in tutto il suo valore.
L'autore lo definì “libro lirico e cubista”. Definizione perfetta: perché Parise frantuma ogni regola di coerenza, realismo, consequenzialità narrativa; fa esplodere la prosa nella poesia; trasfigura la provincia veneta della sua adolescenza – gli anni della guerra e dell'immediato dopoguerra – in un paesaggio onirico di acque putride, macerie e rifiuti, popolato da personaggi bizzarri e da adolescenti impuramente creaturali, dove vivi e morti abitano fianco a fianco con disarmante naturalezza.
Un'opera del tutto inclassificabile, che piombò come una meteora aliena nell'Italia malata di neorealismo, e che ancor oggi, dopo sessant'anni, conserva intatta la sua potenza fantastica.
P.S.: la copertina che riporto è quella dell'edizione più recente, a mia notizia (Adelphi 2006).
c’è un’ora più suggestiva del tramonto?
55 minuti fa
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