Ardengo Soffici, Kobilek, Vallecchi 1966 (141 pp.)
Vatti a ricordare dove e quando ho comprato questo libro. E soprattutto perché, dato che di Soffici sapevo pochissimo: che era toscano, vicino alle avanguardie storiche, animatore di riviste come “La Voce” e “Lacerba”, poi fascista della prim'ora (e anche dell'ultima, visto che non rinnegò mai il regime). Mi pareva di ricordare che fosse stato lui a smarrire il manoscritto dei “Canti Orfici” e che avesse scritto un romanzo, “Lemmonio Boreo”; qualche poesia sua mi era anche piaciucchiata.
Come al solito, l'occhio mi ci è caduto per caso, e senza una particolare ragione ho deciso di leggerlo.
“Kobilek” (prima edizione: 1918) è un diario di guerra, incentrato sulla battaglia della Bainsizza (agosto 1917), alla quale Soffici – interventista, arruolatosi volontario – partecipò come sottufficiale di fanteria, rimediandone anche una ferita.
Nel libro, ci sono tutti gli elementi che poi andranno a confluire nel fascismo: un confuso miscuglio di estetismo, elitismo, populismo, nazionalismo, vitalismo, antisocialismo, condito di invettive contro i barbari germanici e contro l'Italietta dei vecchi politici, incapaci di comprendere i “tempi nuovi”. La guerra è un dovere duro, ma necessario; gli ufficiali sono tutti nobili e coraggiosi; i fanti sono “veri italiani”, umili e buoni, privi della “luce della coscienza” (privilegio del colto intellettuale), ma altresì pronti all'estremo sacrificio, e se necessario vanno al combattimento “come a una festa”; tutti convivono in fraterno cameratismo; la battaglia è uno spettacolo grandioso ed epico; i pacifisti sono imboscati vigliacchi che gettano fango sugli eroici militi al fronte.
Eppure, dovessi fare un bilancio, direi, nonostante tutto, che “Kobilek” mi è piaciuto.
Sarà forse per la lingua svelta, rotonda, sonora, ancora un po' profumata di Ottocento, con qualche vezzo toscaneggiante qua e là.
Ma soprattutto perché, malgrado qualche tirata patriottarda, qualche accentuazione retorica e qualche caduta nel bozzettismo (abbastanza limitate, comunque, va detto), “Kobilek” è tutto sommato un libro onesto. Pur giustificandola, Soffici non nasconde nulla della guerra: la vita nelle trincee, i pidocchi, la fame, il rischio continuo della morte, l'orrore dei cadaveri, la paura dei bombardamenti, lo smarrimento di fronte alla soverchiante brutalità della battaglia, la pietà per i compagni caduti.
Insomma, di letteratura antimilitarista ne ho letta tanta. Una volta tanto, sentire l'altra campana è stato interessante.
sulla Lettura
8 ore fa
1 commento:
ciao sergio.
pare di ricordare anche io che fu soffici a perdersi la mazzetta di campana, che in illo tempore dovette chiamarsi, se non erro, Il più lungo giorno.
Anche io ho letto qualche libro antimilitarista, molti di questi passano per l'obiezione di coscienza, anche se preferisco quando a parlare di guerra è chi l'ha fatta. spesso, se subita a lungo, la posizione dei combattenti è assolutamente avversa. bisogna vedere soffici quanta n'ha fatta. se per beccarsi una medaglia, o quanto basta per aborrirla.
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