Vincenzo Martorella, Il blues, Einaudi 2009 (322 pp., € 20)
Primo: tutto quel che sapete sul blues è falso.
Vabbè, non proprio tutto, ma molte cose. Ad esempio, che il blues fosse suonato solo con la chitarra (non è vero: c'erano il pianoforte, il violino, l'armonica, il banjo, il washboard, il kazoo, l'organetto e parecchia altra roba); che i bluesman fossero sempre solitari (no: suonavano anche in duo, trio eccetera), depressi (ci sono blues allegri, ironici e comici) e diabolici (molti suonavano indifferentemente blues e gospel). Che il blues sia musica da ascoltare (non è vero: il blues si ballava). E, soprattutto, che il blues sia un'unica cosa ben definita (quando invece c'erano – e ci sono – infiniti blues, spesso diametralmente opposti l'uno all'altro)
Secondo: perché un altro libro sul blues? Perché questo è diverso.
Non è una storia del blues (tant'è che parte dalle origini africane, ma si ferma agli anni '30), né una raccolta di testi, né un esame strettamente musicologico o sociologico eccetera. È piuttosto un tentativo di rileggere, da un punto di vista nuovo e metodologicamente aggiornato, la genesi del blues e, soprattutto, la genesi dell'immagine che noi abbiamo di questa musica.
Il libro, che fa parte di una nuova collana dell'Einaudi intitolata “Mappe”, è strutturato in tre parti (o tre “costellazioni” di temi, come le definisce Martorella).
Nella prima si esamina la nascista del blues, partendo dall'Africa ed esaminandone la lunga incubazione in America, fino all'emersione delle prime forme riconoscibili come tali.
Nella seconda viene esaminata la struttura del blues (testo e musica), i suoi addentellati con la cultura dei neri americani, i suoi legami con le altre musiche afroamericane, prima fra tutti il jazz. Assolutamente fondamentali i capitoli sull'influenza che ebbero sul blues prima l'industria discografica, poi i collezionisti di dischi, che preservarono opere altrimenti destinate a perdersi, ma operarono anche un'opera di selezione che condizionò profondamente la futura ricezione di questa musica.
L'ultima parte consiste di dodici brevi medaglioni, che disegnano il ritratto di varie figure celebri del blues (qui si trova quello dedicato a Bessie Smith).
Sul sito dell'Einaudi potete leggere una presentazione dell'opera, corredata di video.
Insomma, è un libro fondamentale, scritto magnificamente, in un linguaggio accessibile anche ai non esperti di musica
Terzo: Vincenzo è un mio amico. Ma questo non vuol dire.
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