Orazio, Odi, III, 8‘Donec gratus eram tibinec quisquam potior bracchia candidaecervici iuvenis dabat,Persarum vigui rege beatior.’‘donec non alia magisarsisti neque erat Lydia post Chloen,multi Lydia nominis,Romana vigui clarior Ilia.’‘me nunc Thressa Chloe regit,dulcis docta modos et citharae sciens,pro qua non metuam mori,si parcent animae fata superstiti’‘me torret face mutuaThurini Calais filius Ornyti,pro quo bis patiar mori,si parcent puero fata superstiti.’‘quid si prisca redit Venusdiductosque iugo cogit aeneo?si flava excutitur Chloereiectaeque patet ianua Lydiae?’‘quamquam sidere pulchriorille est, tu levior cortice et inproboiracundior Hadria:tecum vivere amem, tecum obeam lubens.’ * * *
“Finché ti piacevo,
e un altro più giovane non cingeva
al posto mio la nuca bianchissima,
prosperai più felice del re di Persia”.
“Finché non bruciasti per un'altra
e Lidia, Lidia dal nome famoso,
non veniva dopo Cloe,
prosperai più illustre di Ilia romana”.
“Ora mi possiede la tracia Cloe,
dotta nel canto e abile sulla cetra:
per lei non temerei di morire,
se potessi far sì che il fato la risparmi”.
“Per me arde ricambiato
Calaide, figlio di Ornito da Turi:
per lui due volte morirei,
se potessi far sì che viva il ragazzo”.
“E se tornassimo all'antico amore
e ci riunisse un giogo di bronzo?
Se scacciassi la bionda Cloe
e a Lidia riaprissi le porte?”
“Anche se lui è più bello di una stella,
e tu più leggero di una scorza
e più iracondo dell'Adriatico crudele,
con te voglio vivere, con te morirei felice”.
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