Gipi, Questa è la stanza, Coconino Press 2007, € 17Gipi sta diventando una malattia. Lo testimonia il fatto che, appena visto questo libro sullo scaffale della libreria, l'ho preso senza nemmeno aprirlo, anzi senza nemmeno guardare il prezzo e controllare se avevo in tasca abbastanza soldi.
Dopo la magistrale
graphic novel “Appunti per una storia di guerra” (l'ho detto e lo ripeto: uno dei più bei romanzi italiani di quest'ultimo decennio) e prima dello struggente ed esilarante “
La mia vita disegnata male”, con questo “romanzo a fumetti” Gipi si era confermato come uno dei pochi veri narratori che abbiamo in questo paese.
Il tema è, ancora una volta, l'adolescenza. I protagonisti sono quattro ragazzi che si muovono nel solito paesaggio di provincia, tra campagna e periferia, e hanno il sogno comune di quasi tutti gli adolescenti: fondare una
rock band. La stanza del titolo è una porta d'accesso verso se stessi: un posto tutto loro, dove possono “chiudere fuori il mondo, suonare e basta”, coltivare i propri sogni lontano dagli adulti.
Tutti e quattro hanno vite difficili, tese sul filo: il padre di Giuliano ha occhi solo per i suoi cani da caccia; a Stefano è morto un fratello, i suoi genitori vivono nell'angoscia e lui dà fuori di matto per mascherare il dolore; Alex ha la camera piena di poster nazisti e vive con una madre e una zia a lui morbosamente devote (il padre è sparito, scappato chissà dove con tutti i soldi della ditta) ; Alberto si dedica al padre, che dopo una malattia si trascina in un'esistenza spenta e catatonica, perso dietro i suoi modellini di aereoplano.
Ma tutto ciò Gipi lo lascia solo intuire. Il centro del racconto è la stanza dove i ragazzi provano, i loro strumenti che sfrigolano e si guastano, la voglia di spaccare il mondo, di fregarlo. Gipi, l'ho già detto, è uno dei pochi che riescono a raccontare l'adolescenza per quel che è: l'età in cui si è senza pelle, in cui tutti i sensi sono dolorosamente acuti, in cui le responsabilità non esistono, si vive e basta, per sé e per gli amici, e questo è tutto quel che conta, il mondo finisce lì.
Un mondo raccontato senza filtri, con una precisione e un'adesione lancinanti, e insieme con il totale controllo dei propri mezzi, grafici e narrativi. Ed è la prima volta che mi capita di trovare spiazzante un lieto fine.
2 commenti:
Ah, ti capisco:questa "malattia" è capitata anche a me.
la tua recensione non è una pillola, è una ciliegina.
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