mercoledì 18 febbraio 2009

tre poesie di charles simic


Mi sto immergendo nella poesia americana. Al contrario: partendo dai più recenti, conto di risalire all'indietro, fino ai padri fondatori. Robert Frost, Carl Sandburg, Wallace Stevens, W. C. Williams, su su fino a Walt Whitman, Emily Dickinson, Longfellow, Emerson.
Charles Simic (nato nel 1938) è un poeta che riesce in una delle cose che apprezzo di più: celare, sotto l'apparente semplicità, delle vere e proprie vertigini metafisiche.

Le traduzioni sono mie: uno dei miei hobby, nonché un ottimo modo per tenere la lingua poetica in esercizio.


* * *

Uomini divinizzati per la loro crudeltà

È vero che i tiranni hanno dita lunghe?
È vero che piazzano le loro trappole
dietro dipinti della Madonna
in palazzi tenebrosi trasformati in musei?

Tutti amiamo i loro occhi febbrili puntati al cielo.
Tutti amiamo anche la Venere nuda.
Ci guarda da un letto disfatto
con un sorriso e la mano sull'inguine.

Lei vede il padrone appostato dietro le nostre spalle.

È vecchio, è cadaverico, è vestito
da custode del museo, e indossa guanti grigi,
perché, ovviamente, ha le mani rosse.

* * *

Cosmologia di Caronte

Con solo una fioca lanterna
a indicargli dov'è
e ogni volta una montagna
di cadaveri freschi da caricare

portarli dall'altra parte
dove ce ne sono molti di più
direi che ormai dev'essere incerto
su quale sia la sponda

direi che non importa
nessuno si lamenta mai
guardar loro nelle tasche
in una qualche briciola di pane in un'altra una salsiccia

una volta ogni tanto uno specchio
o un libro che getta
fuori bordo nel fiume scuro
e rapido e freddo e profondo.

* * *

Gli amici di Eraclito

Il tuo amico è morto, quello con cui
giravi per le strade
a tutte le ore, parlando di filosofia.
Perciò, oggi sei andato solo,
fermandoti spesso per scambiarti di posto
con il tuo compagno immaginario,
e ribattere a te stesso
sul tema delle apparenze:
il mondo che vediamo nella testa
e il mondo che vediamo ogni giorno,
così difficili da distinguere
quando dolore e sofferenza ci piegano.

Voi due spesso vi siete fatti trascinare
tanto da trovarvi in quartieri strani
persi tra gente ostile,
costretti a chiedere indicazioni
proprio sul ciglio di una suprema rivelazione,
a ripetere la domanda
a una vecchia o a un bambino
che potrebbero essere entrambi sordi e muti.

Qual era quel frammento di Eraclito
che stavi cercando di ricordare
quando sei inciampato nel gatto del macellaio?
Nel frattempo, tu stesso ti eri perso
fra la scarpa nera nuova di qualcuno
abbandonata sul marciapiedi
e il terrore improvviso e l'ilarità
alla vista di una ragazza
abbigliata per una notte di ballo
che sfreccia sui pattini.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

MA SAI CHE FORSE L'HO LETTA ANCHE IO L'ANTOLOGIA DA CUI HAI TRATTO ALCUNE DI QUESTI POESIE (MI RICORDO IL TEMA DELL'ULTIMA, E SOPRATTUTTO QUELLA RAGAZZA VESTITA DA BALLO CHE CORREVA SUIO PATTINI!)AVEVA LA COPERTINA BIANCA E IL DORSO ARANCIONE, NON SO SE MI SBAGLIO... NON MI RICORDO PERò LA PRIMA POESIA, CHE è LA MIA PREFERITA QUI, QUELLA DELLA VENERE NUDA, L'IDENTIFICAZIONE DEL PADRONE COL GUARDIANO DEL MUSEO... STUPENDA!

sergio pasquandrea ha detto...

L'antologia da dove le ho prese faceva parte di una serie che usciva con Repubblica qualche anno fa. Erano grossi volumi con la copertina bianca e la costa rossa, ognuno su una nazione (poesia americana, francese, tedesca ecc.).
Come al solito, ho comprato l'intera serie e ne avrò sfogliati 2 o 3 volumi, sì e no. Però ho soddisfatto la libidine del possesso.
La libRidine, oserei dire.