C'è chi li chiama
paradigmi, chi
idola, chi
frames cognitivi, chi
discorsi dominanti, chi più semplicemente
pregiudizi. Ma l'idea è sempre quella: molto spesso, quando crediamo di pensare, non facciamo altro che mettere in moto meccanismi pre-innescati.
Non che questo sia del tutto sbagliato: i pregiudizi sono, in una certa misura, indispensabili, se non vogliamo riscoprire ogni volta il mondo da zero. Sappiamo che la parola "tavolo" designa quell'oggetto e non quell'altro, che in genere sul tavolo si appoggiano i piatti e non i piedi, che se andiamo in un paese straniero si parlerà probabilmente una lingua diversa e che se diciamo a qualcuno "buongiorno" quello ci risponderà alla stessa maniera, e se non lo fa è un villano.
Fin qui tutto bene, si tratta di conoscenze necessarie a sopravvivere nella nostra società.
Il problema è quando queste nozioni si trasformano in schermi, dure incrostazioni catarattiche frapposte fra noi e la realtà. Mi capita spesso di accorgermi che la maggior parte di quelle che vengono chiamate "idee" (le mie, prima ancora di quelle degli altri) non sono altro che concrezioni di stereotipi, impressioni superficiali, notizie orecchiate al TG, chiacchiere da fruttivendolo ripetute senza verificarle.
E' difficile che qualcuno, richiesto di motivare le proprie opinioni, sappia citare un'argomentazione o un dato di fatto, sappia articolare un ragionamento convincente.
Qualche tempo fa, in TV, un giornalista intervistava un gruppo di attivisti della Lega che raccoglievano firme contro la costruzione di prefabbricati da assegnare a famiglie rom. Richiesti delle proprie argomentazioni, la maggior parte se ne uscivano con un "se ne tornino a casa loro" o con un "non ce li vogliamo perché mendicano per strada". Messi di fronte al fatto che gli assegnatari dei prefabbricati erano rom di nazionalità italiana, lì residenti da venti o trent'anni (e quindi
erano a casa loro), regolarmente assunti da ditte del luogo (quindi non mendicanti ma onesti lavoratori), avevano in genere due reazioni: o tacevano, o iniziavano a sbraitare slogan razzisti.
Ora, lo so che mi sono scelto un bersaglio facile, che accusare un leghista di scarsa intelligenza è come sparare sulla Croce Rossa, ma quello che mi interessava era mettere in evidenza una serie di meccanismi cognitivi: la sostituzione dell'argomentazione con la frase fatta, l'adesione incondizionata al luogo comune, l'invocazione della propria esperienza come prova probante ("è vero che mendicano: li vedo ogni giorno"), la generalizzazione ("un rom mendica, tutti i rom mendicano"), il primato delle viscere sul cervello, l'incapacità di vedere le cose in modo diverso da quello che si è
deciso di adottare.
Meccanismi che nel cervello limaccioso di un leghista trovano terreno quantomai fertile, ma dai quali in fondo nessuno di noi è esente.
Tanto per fare un esempio: fino a poco tempo fa (intendo, fino a un paio di anni fa) io ero nel pieno del mio
furor anticlericale. Non parlavo della Chiesa cattolica se non in termini rabbiosi, o sarcastici, o freddamente cinici.
Ora, è fin troppo facile dire che la Chiesa è stata (è?) usata come strumento di potere e di repressione; che si è fatta complice di regimi impresentabili; che pretende di mettere becco in questioni politiche che non le competono; che ci sono sacerdoti pedofili; che il Catechismo è una sedimentazione di assurdità anacronistiche; che molto magistero della Chiesa non ha più nulla a che vedere con il mondo contemporaneo; che molti cattolici non sanno nulla del cattolicesimo, della sua dottrina e della sua storia; che tante persone, appena uscite dalla Messa domenicale, sono già di nuovo pronte a pugnalare alle spalle il prossimo per guadagnare due lire in più.
Più difficile, per me, è stato ammettere che ci sono parti della Chiesa che lavorano, in maniera del tutto disinteressata, per aiutare i più deboli; che ci sono cattolici morti per difendere la libertà e la democrazia; che i politici italiani potrebbero benissimo evitare di dar spazio a certe dichiarazioni (oltretutto, accolte solo se, come e quando fa loro comodo: ma questo è un altro discorso) e fare piuttosto il loro lavoro, ossia gestire uno Stato
laico; che molti sacerdoti sono bravissime persone, oppure sono uomini come tutti gli altri, con i loro pregi e i loro difetti; che il Catechismo non esaurisce il cattolicesimo; che non sempre è un difetto non essere contemporanei; che si può essere sinceramente credenti anche senza una laurea in teologia; che fra i cattolici ci sono persone oneste, serie, che vivono in profondità il loro cristianesimo.
Insomma, ammettere che anche chi la pensa diversamente da me può essere in buona fede, e persino avere una parte di ragione. Ammettere persino che molta di quella mia rabbia non derivava da ragionamenti fondati, ma da un caglio di astio e risentimento che aveva tutt'altra origine.
Non posso nemmeno dire di esserci riuscito del tutto, ma ci sto provando. Certo, è difficile.
Facile, molto più facile, è costruirsi un feticcio, travestirlo da Papa e divertirsi a sparagli addosso.
1 commento:
sì,quoto tutto quello che hai scritto...forse spesso,l'istinto o desiderio di dire qualcosa dentro un gruppo che ti rafforza,ti spinge a dirle,senza riflettere sul loro senso....credo sia questo il significato dell'atteggiamento di leghisti e simili....che è la cosa più grave,perchè il preconcetto è elevato aa accusa sociale....ma spesso,i pregiudizi fanno male anche se si usano nella sfera privata,perchè condizionano di più...
Posta un commento