In uno dei primi post di questo blog, riflettevo sui pro e contro del tenere un blog. Uno dei punti era che, scrivendo un blog, ogni parto del proprio pensiero viene reso di pubblico dominio. Questo potrebbe essere un "contro", ma a ben pensarci anche un "pro", nel senso che il confronto con le idee altrui è sempre un'occasione di arricchimento e, se necessario, di rettifica delle proprie posizioni.
Sapientis est mutare sententiam, dicevano gli antichi. Ma veniamo al punto.
Qualche giorno fa avevo recensito (positivamente) la "Storia del Jazz" in edicola con l'Espresso. Nei commenti aveva risposto il blogger che si firma Alien Life Form (
qui c'è il suo blog), con una stroncatura radicale dell'opera.
Le obiezioni da lui mosse erano parecchie, ma mi pare si possano riassumere in questi punti:
1) critiche al cd, considerato poco rilevante e poco in linea con il contenuto del dvd;
2) eccessivo peso dato all'elemento europeo (in particolare italiano) nella formazione del jazz;
3) scarse menzioni dell'elemento nero;
4) tutti i musicisti e critici intervistati erano bianchi, anzi italiani (centro-meridionali, per la precisione);
5) alcune affermazioni specifiche, su cui tornerò più avanti.
Ora, devo precisare che quando ho postato il commento precedente avevo visto solo i primi 20-30 minuti del dvd, che dura in tutto poco più di un'ora: ma anche su questo tornerò più avanti.
Riguardo al punto 1, avevo già sottolineato che il cd è la parte più debole dell'operazione, e sostanzialmente concordo con le critiche mosse da AlienLifeForm.
Riguardo il punto 2, avevo già risposto nei commenti al post precedente, specificando che a mio avviso questo costituisce proprio uno dei punti di forza del dvd.
La rivalutazione dell'elemento bianco-europeo nella storia del jazz è uno dei fronti più interessanti della ricerca musicologica afroamericana degli ultimi 10-15 anni, in particolare di quella italiana (Zenni, Piras).
Beninteso, "rivalutare dell'elemento bianco" non significa negare l'importanza degli afroamericani, ma piuttosto correggere una sorta di "pregiudizio alla rovescia", che si può far risalire a opere come
Blues People (1963) di Leroi Jones, o Amiri Baraka che dir si voglia, o
The Music of Black Americans di Eileen Southern (prima ed. 1971). Che sono e rimangono grandissimi libri, veri e propri punti di svolta negli studi afroamericani, ma che, nella loro volontà di rivendicare la "negritudine" del jazz (comprensibile e giustificata in quella particolare temperie storica), finiscono per appiattirlo su una dimensione esclusivamente "nera", che ne sminuisce la ricchezza e complessità.
Oggi si sta sempre più affermando la convinzione che il jazz sia musica non semplicemente "nera", ma bensì "afro-americana", ossia si sta evidenziando la natura duplice di quell'aggettivo: una matrice africana (il ritmo, l'emissione, l'intonazione, l'elemento improvvisativo) che si innesta su elementi europei (l'armonia, lo strumentario, la tradizione bandistica desunta dalle bande francesi ed europee).
Tanto per fare un esempio, l'
um-pa um-pa che caratterizza la mano sinistra dei pianisti ragtime e stride non è altro che la traduzione di un ritmo di marcia, tipico delle bande (e anche la struttura formale dei primi ragtime ricalca quella della marcia), su cui però viene innestato un incrocio ritmico di sincopi e controtempi tipico della musica africana.
Del resto, non è un caso che il jazz sia nato proprio a New Orleans, che era un vero crogiolo di razze ed etnie, dove si mescolavano popoli e musiche di tutto il mondo e dove - come sottolinea Marcello Piras nel dvd - l'opera italiana era conosciuta ed amata. Per inciso, molti dei primi jazzisti, da Armstrong a Jelly Roll Morton, erano conoscitori dell'opera: Armstrong citava spesso arie verdiane nei suoi assolo e nelle celebri registrazioni di Alan Lomax si può sentire Morton che esegue non ricordo più quale aria.
Insomma, per quanto possa sembrare strano, è
vero che il jazz (o almeno, il jazz come lo conosciamo oggi) non ci sarebbe stato se i neri non avessero incontrato, conosciuto e assimilato anche la musica di tutte le etnie presenti in America, italiani compresi.
Fra l'altro, questi studi permettono anche di correggere un certo pregiudizio "primitivista" che porta a vedere sempre i jazzisti come musicisti "istintivi", persino analfabeti musicalmente (assolutamente falso, dato che persino Armstrong, pur essendo autodidatta, leggeva e scriveva benissimo la musica), e a riaffermare con maggior forza e motivazione la genialità del loro contributo musicale. Gli afroamericani, partendo da una situazione di subordinazione sociale e culturale, riuscirono a incorporare gli elementi della cultura dominante e a reinterpretarli in maniera del tutto inedita. Il jazz è il prodotto di questa mescolanza.
Temi ormai abbastanza ovvi per chi conosca gli sviluppi più recenti della musicologia afroamericana, ma che non mi risulta siano mai stati introdotti sistematicamente in un'opera di divulgazione, rivolta ad un pubblico di non specialisti (e che, purtroppo non permette una trattazione troppo tecnica e approfondita, ma tant'è).
Per quanto riguarda il punto 3, mi pare che nella prima mezz'ora del dvd venga ripetuto più volte che il jazz è stato creato dai neri, che riflette tradizioni africane (ad esempio il paragone fra i
griot africani e i primi
bluesmen), che la batteria è una creazione degli afroamericani, che il ragtime riflette l'approccio nero a una musica di origine bianca, ecc.
La scelta di musicisti tutti bianchi, italiani e di area romana (punto 4) è di sicuro un po' discutibile, ma di per sé non inficia il valore dell'operazione, dato che si tratta pur sempre di nomi di un certo livello. Certo, anche a me sarebbe piaciuto vedere un'intervista a Sonny Rollins o a Ornette Coleman, o qualche materiale d'archivio su King Oliver o Jabbo Smith, ma immagino ci possano essere anche ragioni di costi, diritti d'autore ecc. (però queste sono ipotesi mie, lo ammetto).
Che poi quel "certo giro" di musicisti stia oggi esercitando una vera e propria egemonia sugli spazi già limitati del jazz italiano, è un problema che non riguarda solo questo dvd, ma un discorso più ampio che qui non è il caso di affrontare.
Per quanto riguarda il punto 5, il discorso di Roberto Ciotti sul blues (alcuni neri si integrano e danno origine al gospel, altri sono ribelli e fanno blues, è dalla prima tendenza che deriva la Motown) non è del tutto sbagliato, anche se la cosa detta così risulta un po' banale e andrebbe argomentata e differenziata un po' meglio.
E qui comincian le dolenti note: perché finora ho parlato solo della prima mezz'ora del dvd, per la quale mi sentirei di confermare il mio giudizio, ripetendo che è un'operazione di buonissimo livello, che unisce il taglio divulgativo con un certo spessore teorico.
Però, a partire da questo punto, il tutto subisce un inspiegabile tracollo verticale.
Già la trattazione del blues, affidata a cinque minuti di chiacchierata con Roberto Ciotti, è come minimo inadeguata all'importanza dell'argomento.
Ma il punto di svolta è segnato dall'affermazione (davvero sconvolgente) di Antonio Ballista secondo cui "il ragtime veniva suonato nei saloon, tra una rissa e l'altra, con il cartello
non sparate sul pianista". Una baggianata bella e buona, e stupisce che una persona preparata quale credo sia Nunzi non abbia fatto un salto sulla sedia.
Il successivo discorso sull'improvvisazione contiene osservazioni senz'altro giuste, ma è a dir poco confuso e arruffato. Anche qui, si rimane stupiti, considerando che ad essere intervistati sono musicisti seri come Danilo Rea, Rita Marcotulli ed Enrico Pieranunzi (a proposito: il pezzo che Pieranunzi esegue dopo quello di Bach non è una sua parafrasi, ma un tema di Charlie Parker di cui non riesco a ricordare il titolo; credo che l'intenzione fosse di mettere in evidenza certe somiglianze tra i due brani, peccato che la cosa non venga affatto spiegata e che l'intero discorso risulti pressoché incomprensibile).
Il fondo si tocca negli ultimi 15-20 minuti, nei quali parlano due personaggi cialtroneschi come Lino Patruno e il mio (purtroppo) quasi-compaesano Renzo Arbore, uno che ha avuto sul jazz lo stesso effetto che l'Aids ha avuto sulla vita sessuale. Su quest'ultima parte nemmeno mi soffermo, perché è di un dilettantismo e un pressappochismo
inqualificabili.
Insomma, volendo riassumere, la prima mezz'ora del dvd è buona, la seconda è poco più che paccottiglia.
Ora, non so di chi sia la responsabilità di questo disastro finale. Piuttosto, tutto sta a vedere se le prossime puntate proseguiranno la linea della prima metà, o quella della seconda.
Vi terrò aggiornati.