Non so se vi rendete conto di quale impresa prometeica sia far fare colazione a due bambini, lavarli, pettinarli, vestirli e prepararli per uscire. Io ieri mattina ci ero riuscito, e mi preparavo alla passeggiata mattutina, indispensabile per non far impazzire loro di noia e me di disperazione. Solo che, quando ero già sulla soglia, ho notato una lettera nella cassetta della posta. Portava la dicitura "Edison Energia", e vedendola mi aspettavo le solite pallosissime offerte pubblicitarie. Mi sbagliavo. La lettera si complimentava con me per aver scelto Edison Energia, mi diceva di aver "ricevuto e accettato" la mia richiesta di passare a loro come fornitori e mi assicurava che mi avrebbero comunicato quanto prima la data d'inizio della fornitura. Qual è il problema? Il problema è che io non mi sono mai nemmeno sognato di farla, la richiesta. Anzi, secondo loro l'avrei fatta il 13 agosto scorso (quando ero al mare, figuriamoci...). Ciliegina sulla torta, il mio indirizzo era sbagliato (o meglio, c'era il vecchio indirizzo, mentre il nome della strada in cui abito è cambiato, ormai da più di un anno). Quindi, delle due l'una: o io ho una doppia personalità e faccio cose di cui non conservo memoria, oppure c'è qualcosina che non torna. Incazzato nero, rinuncio alla passeggiata, rientro e chiamo immediatamente il numero verde indicato nella lettera. Quasi quindici minuti di attesa, poi finalmente risponde una ragazza con un forte accento siciliano, scocciata e maleducatissima. Mi dice che a loro la richiesta risulta, ma che lei non può dirmi in che forma sia stata fatta (contratto firmato? telefonata? boh...), né chi ha fornito loro i miei dati, che in teoria dovrebbero essere riservati. L'inizio della nuova fornitura è programmato per ottobre. Comunque, ha aggiunto, bastava che spedissi un fax in cui chiedevo di "recedere" dal contratto. Ho obiettato che io non dovevo "recedere" da un bel niente, dato che il contratto non l'avevo mai nemmeno stipulato, ma lei, sempre più maleducata, mi ha risposto che quella era la procedura. E tanti saluti. Il fax l'ho spedito, cercando di precisare tutto nei minimi dettagli e chiedendo la chiusura immediata dell'utenza e il ritorno all'Enel. Stamattina ho aggiunto una raccomandata A/R, tanto per sicurezza. Ho anche chiamato il numero verde Enel, e hanno detto che - per fortuna - a loro non risulta ancora nessuna richiesta di passaggio al gestore privato. Ora, non so come la cosa si risolverà. Ma la domanda è: quanti, tra voi, sarebbero disposti a credere alla buona fede della Edison Energia? Aspetto con curiosità le risposte.
Oggi si è guardato sotto la maglietta nella carne aveva una ferita profonda e ampia dalla ferita cresceva un fiore delicato da qualche posto molto profondo si è girato per guardare in viso sua madre per mostrarle la ferita nel petto che bruciava come una lama ma la spada che l'aveva squarciato era la spada nelle mani di sua madre
Ogni giorno un altro miracolo solo la morte ci separerà sacrificare una vita per la tua sarei il sangue del cuore di Lazzaro
Anche se la spada era la sua protezione la ferita stessa gli avrebbe dato potere il potere di ricostruirsi nella sua ora più buia lei gli disse che la ferita gli avrebbe dato coraggio e dolore quel dolore che non puoi nascondere dalla ferita cresceva un fiore delicato da qualche posto molto profondo
Ogni giorno un altro miracolo solo la morte ci separerà sacrificare una vita per la tua sarei il sangue del cuore di Lazzaro
Uccelli sul tetto della casa di mia madre non ho pietre per scacciarli uccelli sul tetto della casa di mia madre siederanno sul mio tetto un giorno volano alle finestre volano alla porta dove trova la forza per combatterli ancora conta tutti i suoi figli come uno scudo contro il dolore alza gli occhi al cielo come un fiore nella pioggia
Ogni giorno un altro miracolo solo la morte ci separerà sacrificare una vita per la tua sarei il sangue del cuore di Lazzaro
Sessant'anni fa, il 26 agosto del 1950, in una stanza dell'albergo Roma, a Torino, sedici bustine di sonnifero mettevano fine alla vita di Cesare Pavese.
Raccontare è sentire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente. La monotonia è un pegno di sincerità. Ciascuno ha il suo gorgo e basta che vi palpiti dentro l'estrema tensione di cui la sua coscienza è capace: raccontare vorrà dire lottare per tutta una vita contro la resistenza di quel mistero.
Quando devo essere da qualche parte per cena alle otto, me ne rimango nella vasca da bagno per un'ora e più. Si fanno le otto e io sono ancora nella vasca. Continuo a versare essenze profumate nell'acqua, lascio scorrere l'acqua e riempio la vasca con acqua fresca. Mi dimentico che sono le otto e che ho un appuntamento a cena. Mi perdo nei miei pensieri e mi sento lontana da tutto. A volte so il vero motivo di quello che faccio. Nella vasca non c'è Marilyn Monroe, ma Norma Jean. Sto facendo un regalo a Norma Jean. Lei doveva farsi il bagno con l'acqua che era stata usata da sei o otto persone. Adesso può farsi il bagno in un'acqua limpida e trasparente come una lastra di vetro. E sembra che Norma non ne abbia mai abbastanza di quell'acqua limpida che profuma di essenze vere. C'è anche un'altra cosa che mi "aiuta" a ritardare. Quando esco dalla vasca passo molto tempo a stendere la crema sulla pelle. Mi piace moltissimo farlo. E a volte se ne va, felicemente, un'altra ora. Quando finalmente mi vesto mi muovo più lentamente che posso. Inizio a sentirmi un po' colpevole perché sembra che ci sia un impulso che mi fa essere il più possibile in ritardo per l'appuntamento. C'è qualcosa in me che è felice quando sono in ritardo. La gente mi aspetta. La gente è ansiosa di vedermi. Sono desiderata. E mi ritornano in mente gli anni in cui non lo ero. Le centinaia di volte nelle quali nessuno voleva vedere la piccola servetta, Norma Jean, nemmeno sua madre. Provo una strana soddisfazione nel punire le persone che ora mi vogliono. In realtà non sto punendo loro, ma tutte quelle persone del passato che non volevano Norma Jean. Quello che provo non è soltanto una punizione. Mi emoziono come se io fossi Norma Jean che va a un party e non Marilyn Monroe. Meno sono io, più Norma Jean è felice.
Marilyn Monroe (con Ben Hecht), La mia storia, Donzelli 2010
Michel Tournier, Il re degli ontani, Garzanti 1996 (462 pp.)
Michel Tournier, un altro dei miei amori a scoppio ritardato. Ne sentii parlare, credo, per la prima volta mentre preparavo la tesi di laurea, quindi nel 1998 o giù di lì, leggendo un pezzo di Italo Calvino su Vendredi ou les limbes du Pacifique. Sulle mie amate bancarelle dell'usato, mi procurai Venerdì, Il re degli ontani e Gilles e Jeanne. Tutti e tre, come al solito, rimasti a lungo a languire sugli scaffali. Venerdì è ancora là. Gilles e Jeanne l'ho letto qualche anno fa, l'ho trovato geniale e lo consiglio vivamente (per la cronaca, ricostruisce i rapporti – reali – intercorsi tra il famigerato Gilles de Rais e Giovanna d'Arco). Il re degli ontani l'ho ripescato da poco, perché – per ragioni che qui non è il caso di spiegare – mi è venuta voglia di leggere alcuni testi sull'Olocausto e sulla Germania nazista. Venendo al romanzo: il protagonista, Abel Tiffauges, è, secondo le sue stesse parole, un orco. È immenso, fortissimo, ama la vita nei suoi aspetti più elementari, la carne cruda, i bambini, gli animali, fino agli elementi più derelitti: il sangue, la merda. Tiffauges è, a suo modo, un puro; ma per la società è un disadattato, un pervertito, forse persino un pedofilo*. Inoltre, Tiffauges è convinto che la realtà sia un conglomerato di simboli, che sta a lui interpretare per decifrarvi un destino cosmico al quale, ne è convinto, egli è strettamente legato. Lo seguiamo bambino in un tetro collegio di gesuiti, poi adulto nella Francia dei tardi anni Trenta, quindi soldato (geniere colombofilo) nella Seconda Guerra Mondiale, e infine prigioniero di guerra nel nord-est della Germania, sulle rive iperboree del Mare del Nord, in quella che una volta era la Prussia e oggi è spartita tra Russia e Polonia. Lì, in quel mondo di orchi in cui sguazza a suo agio, Tiffauges avrà modo di assistere, da una posizione privilegiata, alla decadenza e alla sanguinosa disfatta del Reich nazista, fino a veder compiersi il suo destino grazie all'incontro con Ephraim, un bimbo ebreo scampato all'Olocausto. Tournier ha affermato di aver voluto “attener[s]i a un realismo che raggiunge il fantastico […] attraverso un parossismo di precisione e di razionalismo, per iperrealismo, per iperrazionalismo”. La definizione è perfetta: Il re degli ontani è un romanzo potente, realistico e mitologico, denso di simboli, di minuziosi parallelismi, affondato nell'universo lucidamente visionario di Tiffauges.
*) Per inciso, Tiffauges è il nome del castello dove Gilles de Rais consumò i suoi delitti. Il riferimento, com'è ovvio, non è affatto casuale. In effetti, tutto il romanzo è intessuto da una fitta trama di riferimenti letterari, spesso in forma di allusione criptica.
"Titanic": altro disco schiacciato dalla canzone che gli dà il titolo (anzi, dalle tre canzoni che costituiscono la "trilogia del Titanic"). Però "Titanic" contiene anche un altro evergreen degregoriano, La leva calcistica della classe '68 *, una gemma poco conosciuta come San Lorenzo e ben due ritratti femminili: Belli capelli, che apre il disco, e Caterina. Caterina è Caterina Bueno, cantante fiorentina che faceva parte del gruppo del Nuovo Canzoniere Italiano, con cui un ventenne e ancora sconosciuto De Gregori aveva fatto un tour (come chitarrista) nel 1971. Quella al centro della foto in cima al post è lei; e quello alla destra di lei, con quegli inverosimili capelli da paggetto, è proprio lui, De Gregori. Ho già detto che, spesso, di De Gregori mi piacciono le canzoni più semplici, meno "impegnate"? Sì, forse l'ho già detto. Caterina è una di quelle.
http://www.youtube.com/watch?v=_hpb95xhmsc
Poi arrivò il mattino e col mattino un angelo e quell'angelo eri tu con due spalle uccellino in un vestito troppo piccolo e con gli occhi ancora blu. E la chitarra veramente la suonavi molto male però quando cantavi sembrava Carnevale e una bottiglia ci bastava per un pomeriggio intero a raccontarlo oggi non sembra neanche vero.
E la vita Caterina lo sai non è comoda per nessuno quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo devi rischiare la notte il vino e la malinconia la solitudine e le valigie di un amore che vola via e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo e non ti bastano per piangere le lacrime di tutto il mondo chissà se in quei momenti ti ricordi della mia faccia quando la notte scende e ti si gelano le braccia.
Ma se soltanto per un attimo potessi averti accanto forse non ti direi niente ma ti guarderei soltanto chissà se giochi ancora con i riccioli sull'orecchio o se guardandomi negli occhi mi troveresti un pò più vecchio e quanti mascalzoni hai conosciuto e quanta gente e quante volte hai chiesto aiuto ma non ti è servito a niente. Caterina questa tua canzone la vorrei veder volare sopra i tetti di Firenze per poterti conquistare.
*) A proposito di plagi, argomento di cui si è parlato più volte. Il ritornello de La leva calcistica è praticamente identico all'inizio di The Greatest Discovery, un pezzo di Elton John del 1969. Ascoltare per credere.
Love love is a verb Love is a doing word Feathers on my breath Gentle impulsion Shakes me makes me lighter Feathers on my breath
Teardrop on the fire Feathers on my breath
Nine night of matter Black flowers blossom Feathers on my breath Black flowers blossom Feather's on my breath
Teardrop on the fire Feathers on my breath
Water is my eye Most faithful mirror Feathers on my breath Teardrop on the fire of a confession Feathers on my breath Most faithful mirror Feathers on my breath
Teardrop on the fire Feathers on my breath
You're struggling in the dark You're struggling in the dark
'A vi' ca ce sta a majagne.
Jogge tutte cose
pare ca mmàscechene a vvacande.
Dind'a uandiére i vernecocche
ppìccene a scurìje
ccum'e tanta vernìce.
Ajuste 'u mmalavùrje
ndrune e acquarìje
c'è zzeffunnète 'mbette
na mòrje de penzire fràcete.
Piovìggina // La vedi che c'è, la magagna. / Oggi tutto / pare che mastichi a vuoto. / Nel vassoio le albicocche / accendono la penombra / come tante scintille. / Agosto del malaugurio / tuoni e acquerugiola / si è affondata nel petto / una morchia di pensieri fradici.
"Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno. [...] Lasciarli fare [gli universitari]. Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì... questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio".
El vè dal scòl 'n udur de calt de bagn, de net e po sitil 'l se 'ntromet, l'è apena 'n fil gnamò sicür, amò sitil l'udur del corp amò de net e po 'n sospet d'ìga südat e quand se 'l sènt gros e font l'è 'n spaènt l'udur del corp de l'animal sota la pèl.
(Franca Grisoni*)
Viene dalla scollatura / un odore di caldo / di bagno, di pulito / e poi sottile si intromette, / è appena un filo / non ancora sicuro, ancora sottile / l'odore del corpo / ancora di pulito / e poi un sospetto d'aver sudato / e quando si sente / grosso e fondo / è uno spavento / l'odore del corpo / dell'animale / sotto la pelle.
* Tratto da "La böba", Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 1986. Il dialetto è quello di Sirmione, sul Lago di Garda, al confine tra Lombardia e Veneto
Le poesie vanno sempre rilette, lette, rilette, lette, messe in carica: ogni lettura compie la ricarica, sono apparecchi per caricare sensi; e il senso vi si accumula, ronzio di particelle in attesa, sospiri trattenuti, ticchettii, da dentro il cavallo di Troia.
Poesie in dialetto sanseverese, di Nazario Tartaglione. Da 'U pucchète, Mediterranea 2010 (il libro intero si può leggere qui).
Pe’ la vije.
Cammenève pe’ la vije tra li vìchele e ‘i pendune, che li chèse ca mmandavene i verezure, e che lu ciéle ca vuttève li criature fujènne e nu vècchie ca cuntève cerèse, apprèsse a l’anne passète.
Per la via // Camminavo per la via / tra i vicoli e gli angoli / con la campagna nascosta dalle case, / e con il cielo che spingeva le corse dei bambini, / ed un vecchio che contava ciliegie, / dietro agli anni passati.
* * *
Prime ca jèsce ‘u rène.
Lu ciéle sepère la campagna da la strède, come ‘na lastre de vènde. Llonghe ‘a mène e lu passète jè la, ca te parle e aspètte la cunsulazione ca vè da li tèmpe de mò, ca sàpene, ma ne ssàpene aspettà, e ce scordene ‘i chelùre abbasce a ’u puzze, che l’èrve e ‘u sole du calà, cu mère e la sckume, e lu vènde ca zombe e fa l’onde, e che lu marrò de la tèrre e de li zolle, prime ca jèsce ‘u rène.
Prima che esca il grano. // Il cielo separa la campagna dalla strada, / come una lastra di vento. / Allungo una mano e il passato è la, / che ti parla e aspetta la consolazione che viene dal presente, / che sa, ma non sa aspettare / e dimentica i colori in fondo al pozzo, / con l’erba e il sole del tramonto, / con il mare e la schiuma, e il vento che salta e fa l’onda, / e con il marrone della terra e delle zolle, / prima che esca il grano.
* * *
Andò. (A Michele, 15-04-10)
Andò l’hè jì seppuntà quistu delore, sotte a quèla croce, sotte a quèla tèrra? Come li mène jàvezene sole cusì me mméne ji mméze a la mugne e rumène a spijà ‘ngéle ‘u sole ca rruwènde e ca schelore ‘i dinde e l’anema muccechète da ‘i parole fenute de chi decéve amore.
Dove // Dove si può seppellire questo dolore, / sotto quale croce, sotto quale terra? / Come le mani levano in alto il sole / così io mi lancio nel fango / e resto a guardare in cielo / il sole che arroventa e scolora / i denti e l’anima morsa / dalle parole mute di chi diceva amore.
* * *
‘A lèttere.
E m’assètte ponda ponde a ‘u vènde e a ‘u suttène andò so’ nète e andò nònneme ‘nge stà cchiù. E ‘ngappe ch’i mène ‘u tèmbe sfijute, ‘mbundète sope a stà fotografie, de jisse meletère cu fucile e ‘na lèttere d’amore mmène.
La lettera // E mi siedo sul ciglio del vento / e del basso dove sono nato / e dove mio nonno non c’è più. / E acchiappo con le mani il tempo sfuggito, / scolpito su questa fotografia / di lui militare / con il fucile ed una lettera d’amore in mano.
Stavo per scrivere una poesia
invece ho fatto una torta ci ho messo
più o meno lo stesso tempo
ovviamente la torta era in stesura
definitiva una poesia avrebbe avuto ancora
strada da fare giorni e settimane e
un sacco di fogli accartocciati
la torta aveva già un pubblico
ciarliero scalpitante fra piccoli
camion e furgoni dei pompieri sul
pavimento della cucina
questa torta piacerà a tutti
avrà dentro mele e mirtilli
e albicocche secche tanti amici
diranno ma perché mai ne hai
fatta solo una
questo con le poesie non succede
per via di una tristezza
irriferibile ho deciso di
rivolgermi stamattina a un
pubblico che mi apprezza non voglio
aspettare una settimana un anno una
generazione perché si presenti
il giusto consumatore
Grace Paley (traduzione mia)
* * *
The Poet's Occasional Alternative
I was going to write a poem
I made a pie instead it took
about the same amount of time
of course the pie was a final
draft a poem would have had some
distance to go days and weeks and
much crumpled paper
the pie already had a talking
tumbling audience among small
trucks and a fire engine on
the kitchen floor
everybody will like this pie
it will have apples and cranberries
dried apricots in it many friends
will say why in the world did you
make only one
this does not happen with poems
because of unreportable
sadness I decided to
settle this morning for a re-
sponsive eatership I do not
want to wait a week a year a
generation for the right
Voi che aggiungete misura alle tibie aprite l'aria al passaggio strappate la buccia alle parole che assaggiate voi smarriti nel paesaggio voi stanati dal pianto voi che non misurate il tempo e le risate voi che strillate le rime voi
Due settimane di vacanza. Per i prossimi quindici giorni mi dedicherò anima e corpo a moglie, figli, sole (speriamo), mare e libri. Non accetterò di ospitare alcun pensiero minimamente molesto. Fino al 21 agosto sono in aspettativa dal mondo. Ho impostato il blog perché venga aggiornato in automatico; se e quando mi andrà, aggiungerò qualche post; e non so se e quando potrò rispondere ai commenti. Arrivederci a tutti.
Sono solo un ragazzo povero Anche se la mia storia è stata raccontata poche volte Ho sprecato la mia resistenza Per una manciata di mugugni Così sono le promesse Tutte bugie e beffe Eppure un uomo sente quel che vuole sentire E non bada al resto
Quando lasciai la mia casa e la mia famiglia Non ero nulla più che un ragazzo In compagnia di sconosciuti Nella quiete delle stazioni ferroviarie A correre spaventato A giacere abbattuto Cercando i quartieri più poveri dove vanno gli straccioni In cerca dei posti che solo loro conoscono
Chiedendo solo un salario da bracciante Sono venuto in cerca di un lavoro Ma non ho offerte Solo un “vieni” dalle puttane su Seventh Avenue Dichiaro Ci sono stati momenti che ero così solo Da essermi preso un po' di conforto lì
[[Ora gli anni mi rotolano accanto Dondolando a ritmo uguale Sono più vecchio di quanto ero E più giovane di quanto sarò Questo non è insolito No non è strano Dopo cambiamenti e cambiamenti Siamo più o meno gli stessi Dopo i cambiamenti siamo più o meno gli stessi]] *
Ora giaccio con i miei vestiti invernali Desiderando di essere andato Andato a casa Dove gli inverni di New York non mi fanno sanguinare Sanguinare... Andare a casa...
Nelle radure sta un pugile Un combattente per mestiere E si porta dietro i ricordi Di ogni guantone che lo ha steso O l'ha tagliato fino a farlo urlare Di rabbia e di vergogna Me ne vado me ne vado Ma il combattente resta ancora
*) Questa strofa venne tagliata nell'incisione originale, ma Simon & Garfunkel la cantano in varie versioni live.
Luciano Erba era un uomo schivo, un poeta elegante, uno che non urlava mai. Se n'è andato in silenzio, ieri, a 88 anni, nella sua Milano. Era classificato nella "linea lombarda", o nella "quarta generazione", o chissà dove altro. Per me, era solo un grande poeta.
Il formaggio
Sarà bene parlando di un mio modo di abitare nel mondo del presente (un sistema spaziale dove scambio forma e corpo con quanto mi sta attorno con le cose alle quali vado incontro per vivere in loro e loro in me) sarà bene che riveli che tal modo di stare vicino al quotidiano mi fu chiaro ab initio una mattina avevo fame era tempo di guerra da parte a parte guardavo i buchi di una fetta sottile di formaggio così assorto mi sentivo rapito ed ero un po' di qua un po' di la.
Linea lombarda
Adoro i pregiudizi, i luoghi comuni mi piace pensare che in Olanda ci siano sempre ragazze con gli zoccoli che a Napoli si suoni il mandolino che tu mi aspetti un po' in ansia quando cambio tra Lambrate e Garibaldi.
Milano da sera a mattina
Le nuvole hanno smesso di piovere sta per ricominciare la sera i cortili avranno voci più chiare la luna compie un giro in più.
La felicità vive a notte nel sogno della città labirinto un monte in periferia un vagone abbandonato sulle rotaie.
Superstite del primo Novecento di case d'epoca lungo i bastioni resto un borghese di tarda mattina:
per svegliarmi ripasso il latino campester silvester paluster esco, cravatta, scarp luster.
Marcel Schwob, Vite immaginarie, Adelphi 1996 (210 pp.)
Marcel Schwob, La crociata dei bambini, La biblioteca blu 1972 (87 pp.)
Mayer André Marcel Schwob nacque da famiglia ebraica a Chaville, nel 1867, e morì a Parigi poco più di trentasette anni dopo. Nel frattempo, fu storico, linguista, erudito, traduttore dal greco, dal latino e dall'inglese, studioso di François Villon. E scrittore: amico dei simbolisti, ammirato da Wilde, Valéry e Jarry e dedicatario delle loro opere. Più tardi, fu tra i modelli di Borges. Di salute malferma (tisico, dipendente dalla morfina), visse nel mito di Stevenson e volle concedersi anche lui un viaggio a Samoa, prima di tornare in Francia e morirvi di polmonite, dopo due anni di vita da recluso. “Vite immaginarie”, apparso nel 1896, contiene ventitrè micro-biografie: in media, non più di quattro o cinque pagine ciascuna. I personaggi sono, indifferentemente, noti o sconosciuti: Empedocle o una fattucchiera fenicia, Clodia (ossia la Lesbia di Catullo) o un notaio francese del Quattrocento, un indovino delle Mille e una Notte o il pirata William Kidd, Pocahontas o una coppia di assassini nell'Inghilterra del primo Ottocento. Per ognuno di loro, Schwob cesella un minuscolo, fulminante medaglione, con stile adamantino, all'apparenza semplice, in realtà intriso di preziosa e distillata sapienza. A volte compiaciuto di lussurie e perversioni, a volte affondato nella più triviale quotidianità: sempre, però, con il sorriso disincantato del dandy. E sempre alla ricerca del dettaglio unico, dell'immagine che balza inaspettata come una gemma nascosta. “La crociata del bambini” (1895) è ispirato all'episodio storico del 1212. Schwob moltiplica la prospettiva in otto brevissimi monologhi, nei quali assume la voce di un goliardo, del papa, di uno scrivano, di uno dei bambini, e così via, disegnando un Medioevo feroce e incantato, lucido e minuzioso come la vetrata di una cattedrale gotica.
"Viva l'Italia" (1979). Uno di quei dischi schiacciati dalla title-track. In realtà l'unica canzone veramente politica è proprio Viva l'Italia. Perché poi ci sono l'ironica Gesù Bambino, l'ambigua L'ultima nave (denuncia sociale o semplice canzone d'amore?), Terra e acqua che riprende un celebre canto popolare veneto. E ci sono canzoni sul sogno, sul viaggio, sulla voglia di andare lontano. Insomma, è come se De Gregori avesse voluto bilanciare il sovraccarico ideologico del (peraltro bellissimo) brano eponimo con un album in qualche modo leggero, nei testi e nelle sonorità. E che, se devo essere onesto, mi è sempre sembrato un lavoro carino, ma un po' minore, non proprio memorabile. Volevo postare l'incantevole Buenos Aires, ma non lo trovo né su YouTube né altrove. Allora posto Stella stellina, che fa parte di quella categoria di canzoni sue che mi piacciono di più: delicata, poetica, senza la necessità di un particolare impegno a tutti i costi. Una specie di rilettura di Renoir, però con suoni che sanno già molto di anni Ottanta, e con lo stile più semplice, meno ermetico ma più comunicativo, che De Gregori comincerà ad adottare in quel decennio, e poi in maniera sempre più accentuata, fino ai tempi recenti.
http://www.youtube.com/watch?v=z9dwo2E3NEc
Nata sono nata nell'Africa d'Italia in qualche posto e in qualche modo sono pure cresciuta. Non c'erano chitarre ai miei tempi non c'erano chitarre da suonare ma fili d'erba quanti ne volevi tu da strappare e poi soffiare. E sì la notte ti potevi fidanzare con la luce dei treni che fischiavano lontano.
Probabilmente cominciò con la corriera e con la ferrovia un uomo chiuse lo sportello e la campagna volò via. Avevi unghie laccate sopra mani da contadina e due orecchini di corallo di quand'eri ragazzina. E ti leggevi i libri che parlavono solo d'amore e poi chissà che altro avevi dentro al cuore.
E un anno passa e un anno vola e un anno cambia faccia e una città che muore che protegge e che minaccia. E un uomo con il cappello che ti accompagna alla fermata e tu che prendi la sua mano e pensi "adesso sì che sono innamorata". E non importa niente se capisci che non era vero c'è sempre tempo per un'altra mano e per un sogno ancora intero.
Prendila come viene prendila come vuoi non t'impicciare più della tua vita che non sono affari tuoi. Prendila come viene prendila come va stella stellina stella cadente stella stella.
L'arte si pone dalla parte opposta delle idee generali, non descrive che l'individuale, non desidera che l'unico. Non classifica; sclassifica. Per quanto ci concerne, le nostre idee generali possono anche essere simili a quelle che hanno corso nel pianeta Marte e tre linee che si intersecano formano un triangolo in tutti i luoghi dell'universo. Ma guardate una foglia d'albero, con le sue nervature capricciose, le sue tinte variate dall'ombra e dal sole, il rigonfio che vi ha sollevato la caduta di una goccia di pioggia, la puntura che vi ha lasciato un insetto, la traccia argentea della piccola lumaca, la prima doratura mortale che vi segna l'autunno; cercate una foglia esattamente simile in tutte le grandi foreste della terra: vi sfido a trovarla. Non c'è scienza del tegumento di una fogliolina, dei filamenti di una cellula, della curvatura di una vena, della mania di un'abitudine, delle pieghe di un carattere. Che un certo uomo abbia avuto il naso storto, un occhio più alto dell'altro, l'articolazione di un braccio nodosa, che abbia usato mangiare a una certa ora un petto di pollo, che avvia preferito la Malvasia al Château-Margaux, questo sì è senza parallelo nel mondo. Al pari di Socrate, Talete avrebbe potuto dire ГNΩΘΙ ΣEAYTON ma non si sarebbe sfregato la gamba nella stessa maniera, prima di bere la cicuta. Le idee dei grandi uomini sono il patrimonio comune dell'umanità, ognuno di loro non possedette realmente che le proprie bizzarrie. Il libro che descrivesse un uomo con tutte le sue anomalie sarebbe un'opera d'arte come una stampa giapponese dove si vede eternamente l'immagine di un minuscolo bruco visto una volta in una certa ora del giorno.
Marcel Schwob, Vite immaginarie (1896) (Adelphi 1996, pp. 13-14)
Ma ne avrete chissà quante di giornate
così le vene fanno groppo
tutto ciò che ancora non sapete
vi torce i muscoli
voi che avete così poco da opporre
verrà che io lo voglia o no
sciame sottile o parabola già svuotata del sasso
non so se scriverete anche voi
però posso
consegnarvi il resto della sottrazione
c'è sempre un decimale è lì che inizia la crepa
nulla è più come prima nel bene
o nel male
come quando nei sogni scoprite
le vere abitudini.
Un altro estratto dalla mia tesi di laurea . Affronto un periodo cruciale, quello tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. ...
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