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giovedì 21 novembre 2013

"urgenza"



Preferisco questa parola rispetto a quella, più usurata, di “ispirazione”. “Urgenza” indica un moto, una pressione che spinge il poeta a scrivere in un dato momento piuttosto che in un altro. Forse a qualcuno il termine potrà sembrare inadatto, perché troppo vicino all’universo corporeo (la coppia digestione-evacuazione). Viceversa, il vocabolo si raccomanda appunto per tale vicinanza, come molti scrittori hanno osservato.
L’analogia fra la poesia e le feci compare naturalmente nelle avanguardie, votate al sabotaggio e alla mescolanza dei codici, ma molto più sorprendente è ritrovarla in un autore post-simbolista come Paul Valéry. Una sua prosa intitolata Elementi fisici, solleva infatti questa strana domanda: per quale ragione ciò che esce dal corpo dovrebbe essere più sporco di ciò che vi è entrato? Al contrario, ribatte Valéry, quel che buttiamo fuori andrebbe considerato come il purissimo, raffinato, sapiente prodotto di una complicata lavorazione.
Ed ecco la sua sconcertante tesi: “O corpo glorioso, qualche santo dovrebbe provare amore per la tua merda! Mentre sta ancora all’interno, essa è sacra come fosse una parte dell’Io, e quando dico ‘io’ lei vi è compresa. Poi si distingue dentro di me, e si fa imperiosa. Uno straniero da espellere. E tuttavia resta la MIA creatura, la mia opera più importante”.
Ho tradotto con “merda” la parola francese “fiente”, perché gli altri sinonimi italiani sono tutti al plurale (feci, escrementi) e non rendono la singolarità della produzione organica che l’autore intende sottolineare (la MIA creatura, la mia opera), scegliendo oltretutto il genere femminile. Mai nessuno, probabilmente, si è spinto tanto in là da paragonare il prodotto poetico a quello scatologico, l’oggetto più sublime a quello più volgare. E tutto ciò nel segno dell’urgenza, ossia nell’improvviso reclamo di una materia che scappa, preme e chiede prepotentemente di venire alla luce.

Ps. In italiano esiste un altro vocabolo, di origine toscana, per indicare lo sterco della selvaggina e in genere degli animali: la “fatta”. Ebbene, se seguiamo Valéry, come resistere alla tentazione di accostare questa parola al verbo greco “poiein”, da cui deriva il termine “poesia” e il cui etimo significa “fare”? Una proposta simile (paragonare la poesia a una “fatta” umana) potrà sembrare rivoltante o scandalosa, eppure tradisce una profonda pietas per le creature viventi, amate in ogni aspetto, anche il più umile, della loro indifesa, trepida fragilità.

Valerio Magrelli, da  Che cos’è la poesia? La poesia raccontata ai ragazzi in ventuno voci
Luca Sossella Editore, Roma, 2005

lunedì 24 settembre 2012

non sanno parlare



A mio avviso, il lettore – voglio essere molto drastico – non deve avere voce in capitolo, come si diceva un tempo nelle abbazie. Durante il capitolo, l’assemblea, il lettore non ha il diritto parlare perché parlano gli specialisti, i competenti. Come si creano queste competenze? Attraverso un sistema di selezione che un tempo funzionava: laurea, biennio, dottorato, ricercatorato, etc. Quando questo non funziona, ci sono comunque altre forme di formazione: conosco varie persone di valore che non sono nell’accademia. Ecco, io proporrei il sistema delle ore di lettura, come i piloti d’aereo. Quando si può pilotare un jumbo? Quando, per ricorrere a un’iperbole, si sono fatte 8000 ore di volo. Quando puoi scrivere il tuo parere su un libro? Quando hai letto 8000 libri di teoria, di narrativa, di poesia; altrimenti non puoi parlare. Io non voglio sapere i pareri dei lettori, non mi interessano: deve essere vietato al lettore di parlare. Ma parto dalla grande idea di Borges per cui io vado molto più fiero del mio lavoro di lettore che di quello di scrittore. Essere lettori è una cosa importantissima. Questa specie di todos caballeros, questa gara a diventare tutti critici è insensata perché il lettore ha di per sé un’enorme, un’immensa dignità. I blog hanno questo rischio, trasformano i lettori in studiosi: questo non è possibile.

(leggi qui tutta l'intervista a Valerio Magrelli)

martedì 14 febbraio 2012

a scary valentine


Questa ragazza si sottrae ad ogni gesto
ed è cieca ai miei inganni, né può
scorgere il filo del mio parlare,
né inciamparvi. Attraversa ogni trama
senza nemmeno sapere a cosa si sottrae,
o forse proprio questo incurante sostare
le dona prodigiosa incolumità. Così,
mi sento quasi una terra abbandonata,
su cui di sera quietamente passeggiano
uomini ed animali; e questa donna
cresce dentro di me, dolorosa
come un uccello vivo nel torace.
Paziente dovrò aspettare
la lenta espunzione di questo corpo estraneo,
che varcando l’orizzonte dei sensi
lascerà di sé solo
la sottile firma d'una cicatrice.

Valerio Magrelli (da "Ora serrata retinae")

sabato 15 ottobre 2011

soglie

Forse un poeta è veramente tale solo se si sa quando arrestarsi, quando cessare l'opera della lima, quando sospendere la proliferazione di varianti; insomma, quando riesce a dire "basta".
Come al momento di lasciare un pranzo, i saluti non sembrano più smettere. Il distacco è difficile, e viene spontaneo cercare di rinviarlo. Si chiacchiera così bene, sulla soglia, che non vorremmo più venire via. Lo stesso con i versi. E' duro dover prendere congedo. Ma l'explicit ci chiama. Serve un dono, un talento: l'ispirazione della conclusione.

Valerio Magrelli (da "Che cos'è la poesia", Sossella 2007)

giovedì 15 settembre 2011

la freccia e il bersaglio


Rosebud

Non pretendo di dire la parola
che scoccata dal cuore traversi
le dodici scuri forate
fino a forare il cuore del pretendente.
Io traccio il mio bersaglio
intorno all'oggetto colpito,
io non colgo nel segno ma segno
ciò che colgo, baro,
scelgo il mio centro dopo il tiro
e come con un'arma difettosa
di cui conosco ormai
lo scarto, adesso
miro alla mira.

Valerio Magrelli

lunedì 16 agosto 2010

istruzioni



Le poesie vanno sempre rilette,
lette, rilette, lette, messe in carica:
ogni lettura compie la ricarica,
sono apparecchi per caricare sensi;
e il senso vi si accumula, ronzio
di particelle in attesa,
sospiri trattenuti, ticchettii,
da dentro il cavallo di Troia.

Valerio Magrelli

sabato 31 gennaio 2009

l'opera e il sonno

Dedicato a chiunque condivida uno dei miei desideri più segreti: imparare a non dormire.

Rima palpebralis

Molto sottrae il sonno alla vita.
L’opera sospinta al margine del giorno
Scivola lenta nel silenzio.
La mente sottratta a se stessa
Si ricopre di palpebre.
E il sonno si allarga nel sonno
Come un secondo corpo intollerabile.

Valerio Magrelli
(da "Ora serrata retinae", 1980)