“Si può resistere a tutto, tranne che alle tentazioni”, diceva qualcuno. E io non ho resistito. Quando ho visto questo volume in fumetteria, l'ho comprato prima ancora di averne la consapevolezza razionale.
Anche se queste storie le avevo tutte, sparse su riviste e vecchie edizioni. Dirò di più: anche se queste storie le conosco tutte a memoria e potrei recitarle battuta per battuta, onomatopea per onomatopea.
Non ho resistito perché, in generale, come si fa a resistere a Pazienza? E a questo Pazienza, poi?
Ma non è di questo che voglio parlarvi. Voglio parlarvi dell'effetto che (mi) fa rileggere Pazienza oggi, a trentotto anni.
Non so se vi rendete conto di che cosa significa avere sedici anni nel 1991, in un paesotto del Tavoliere. Aver passato gli orrendi anni Ottanta nel bel mezzo di quella desolazione umana. E amare i libri, l'arte, la musica (il jazz poi, figuriamoci).
Io sì: io lo so. Significa che sei diverso. E a quell'età non ci si rende conto che essere diversi può anche significare essere migliori. Ci si sente diversi e basta. Ci si sente lontani dagli altri, con le mani bloccate sulla barriera invisibile e incrollabile che ti divide da loro. Anche da quella ragazza che ti dimostra un interesse inequivocabile e dalla quale tu fuggi, terrorizzato non da lei ma da te stesso
Significa anche che quando scopri Pazienza (che intanto è già morto), quando vedi gli originali delle sue tavole, nella mostra che il tuo – e suo paese – gli ha dedicato (da morto), cominci a trovarci un senso, in tutto ciò che hai vissuto fino ad allora.
Ora, a sedici anni non si hanno filtri: e io mi sono letteralmente tuffato in quelle tavole, assorbendole per osmosi. Non avevo riferimenti storici, non avevo la minima idea né di Bologna, né del Settantasette, degli anni Ottanta avevo la percezione globale e dolorosa di chi li ha appena vissuti e non ne è uscito del tutto indenne. A malapena conoscevo lui, Pazienza, anche se sapevo confusamente che i miei conoscevano la sua famiglia (ma di questo
ho già parlato).
Con i miei amici, i pochi che avevo, abbiamo letteralmente vissuto in quelle storie.
Adesso ne ho trentotto e sono – senza esagerare – un 'altra persona. Posso leggere le vicende di Zanardi con tutti i filtri e tutto il distacco che la cultura e il senso critico mi forniscono: ma l'intensità di quelle tavole ne esce del tutto intatta.
Anzi, è ancora più impressionante rendersi conto della lucidità con cui questo venticinquenne (tanti ne aveva quando su Frigidaire uscì “Giallo scolastico”) aveva capito tutto. La violenza, la tenerezza, la crudeltà di quegli anni, e il vuoto che ci aspettava. E come tutto si riversasse in quelle storie, senza reti protettive.
Oggi posso decodificare tutto quel che c'è di decodificabile, ma quelle storie mi trapassano esattamente come facevano allora.
Andrea Pazienza, "Tutto Zanardi" (Fandango Libri, 2013), pp. 256, € 29,50.
Il volume comprende le storie di “Zanardi” (La proprietà transitiva dell'uguaglianza, Giallo scolastico, Pacco, Verde matematico, Notte di Carnevale), negli originali di Pazienza , senza colori aggiunti.
In più, ci sono Zanardi l'inesistente, Cravatte, Lupi, le storie de I modi (Prologo, Cuore di mamma, Cenerentola 1987), La logica del fast-food, Storiella bianca, Zanardi at the war, l'incompiuto Zanardi medievale e l'onirico Zanna ma la vecchiezza è una Roma. Alcune di queste storie non erano mai state ripubblicate, o comunque non erano disponibili in commercio da parecchio tempo.