Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, Bompiani 2003 (151 pp., € 8,60)
Questo è uno di quei casi di cui parlavo tempo fa, di un libro che mi ha letteralmente chiamato, al di là di qualunque considerazione. L'ho comprato qualche anno addietro, senza conoscerne nulla: forse mi ha colpito il nome dell'autore, forse il titolo, forse semplicemente la copertina, chissà.
Solo in seguito ho appreso che von Horváth (1901-1938) era figlio illegittimo di un diplomatico ungherese, che era nato a Fiume, cresciuto tra Germania e Impero Austroungarico e vissuto tra Vienna e Berlino. Nel 1938, dopo l'Anschluss, andò in esilio volontario a Parigi, dove morì a soli trentasette anni, schiacciato da un albero caduto durante un temporale. È noto soprattutto per i suoi drammi di denuncia sociale; questo breve romanzo uscì nel 1938, presso un editore di Amsterdam.
La “gioventù senza Dio” del titolo sono i ragazzi venuti su durante il nazismo, educati sotto il maglio della propaganda del Partito, che li ha trasformati in piccole belve, capaci di picchiare un compagno per il solo divertimento di rubargli il pranzo.
L'io narrante è un giovane professore di storia. Ha trentaquattro anni, i suoi alunni quattordici, ma li separa un abisso incolmabile. Gli alunni, già pronti a trasformarsi entusiasticamente in carne da cannone per il Reich, disprezzano il suo idealismo e i suoi ideali umanitari; lui li osserva con rabbia fredda, impotente. La stessa rabbia con cui guarda ai suoi connazionali che hanno accettato il nazismo – chi per convinzione, chi per vigliaccheria, chi per convenienza – e anche a se stesso, che per guadagnarsi il pane scende ogni giorno a patti con l'odiosa, grottesca follia del regime.
Ma un caso di coscienza (un delitto, la necessità di salvare un innocente e smascherare un colpevole) gli farà capire che forse non tutto è perduto, che una scintilla di morale e di umanità (un Dio?) può ancora esistere.
Scrittura secca, fulminante, che spesso si torce in bagliori espressionisti. Una bella scoperta.
sorry…
4 ore fa
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