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giovedì 20 agosto 2009

recensioni in pillole 27 - "L'invenzione di Morel"

Adolfo Bioy Casares, L'invenzione di Morel, Bompiani 1966 (144 pp.)
In una celebre prefazione, Borges scrisse che questo racconto dell'amico Bioy Casares disponeva di una trama perfetta ("ho discusso con l'autore i particolari della sua trama, l'ho riletta; non mi sembra un'imprecisione o un'iperbole qualificarla di perfetta"); usò poi questa definizione come cavallo di Troia per una polemica contro il romanzo psicologico, che "tende ad essere informe", e per una difesa del romanzo basato su un intreccio rigoroso, impeccabile ("immaginazione ragionata", come lui la definisce).
Con tutto il rispetto per il Gran Veggente, a me pare che il maggior merito di questo racconto lungo (o romanzo breve che dir si voglia, ma la prima definizione mi pare più esatta) sia proprio nel riuscire a creare cento e più pagine di suspense su una trama virtualmente inesistente. Sempre per riprendere le parole di Borges, Bioy Casares "dispiega un'Odissea di prodigi che non sembrano ammettere altra chiave che l'allucinazione o il simbolo, e pienamente li decifra mediante un singolo postulato fantastico ma non soprannaturale".
Detto in maniera meno criptica, l'idea è questa: il protagonista, un ergastolano fuggiasco, si è rifugiato su un'isola deserta, coperta da paludi e da una vegetazione semiputrefatta. Unico segno di vita umana, delle strane costruzioni ormai abbandonate e dei generatori elettrici che si alimentano con l'energia delle maree.
Un giorno, cominciano inquietanti apparizioni: uomini, donne, navi, che compaiono e scompaiono senza spiegazione apparente. Quando il fuggiasco cerca di entrare in contatto con loro, questi personaggi nemmeno si accorgono di lui, anzi sembrano ripetere ossessivamente le stesse azioni. Che cosa sono? Fantasmi, allucinazioni, esseri di altri mondi?
Tutto il libro consiste nel progressivo disvelamento dell'enigma. Attraverso il monologo del protagonista, Bioy Casares crea un'atmosfera di lucida, febbrile follia, e insieme intesse una sottile (e attualissima) riflessione sul rapporto tra realtà e immagine.

(P.S.: ovviamente l'edizione del 1966 è quella che ho letto io: trovata - c'è bisogno di ripeterlo? - su una bancarella dell'usato; la copertina riprodotta nell'immagine è invece quella dell'edizione in commercio).

venerdì 24 luglio 2009

recensioni in pillole 22 - "Antologia della letteratura fantastica"

Jorge Luis Borges/Silvina Ocampo/Adolfo Bioy Casares, Antologia della letteratura fantastica, Einaudi 2007 (538 pp., € 17,80)

Non compro quasi mai antologie, perché odio la letteratura ridotta a crestomazia e odio dipendere dalle scelte altrui. In questo caso mi hanno convinto i nomi dei curatori e la loro ovvia affinità con l'oggetto trattato.
Perfidia di letterati. I tre, snob come non mai, hanno costruito un percorso che gioca deliberatamente con l'arbitrio: i testi sono esclusivamente quelli che rispondono al loro gusto; nessun criterio d'epoca, autore, genere o provenienza geografica. Anzi, a sparigliare ulteriormente le carte, i racconti sono disposti per ordine alfabetico d'autore, così che Borges è accostato a Martin Buber, Lewis Carrol a G. K. Chesterton, Joyce a Don Juan Manuel, Kafka a Kipling, Silvina Ocampo a E. O'Neill, Poe a Rabelais e così via, senza contare i numerosi autori più o meno oscuri, cinesi, giapponesi o arabi.
Tocco finale: a volte di un autore sono estrapolati brevi brani, addirittura di poche righe, del tutto decontestualizzati.
Insomma, più che di un'antologia si tratta tout-court di un'opera d'autore, perdipiù elaborata nel corso di più edizioni, lungo quasi quarant'anni.
Vale l'acquisto non solo per i capolavori (I donghi di J. R. Wilcock, Rani di Carlos Peralta, Sredni Vashtar di Saki, La casa occupata di Cortazar, Tlon di Borges), ma per l'intera architettura del libro, per quel percorso sinuoso e imprevedibile tra testi disparati, ognuno dei quali illumina i vicini di una luce inedita.
Il fantastico come modo di guardare la realtà da un angolo nuovo, di costruire mondi alternativi, possibili o impossibili che siano.

(Peccato per gli innumerevoli refusi che infestano - impestano? - quasi ogni pagina: ma non esistono proprio più i correttori di bozze?).

sabato 18 luglio 2009

recensioni in pillole 21 - "Don Segundo Sombra"

Ricardo Güiraldes, Don Segundo Sombra, Bompiani 1983

Don Segundo Sombra è per gli argentini quello che per noi è I Promessi Sposi: il romanzo nazionale, su cui si costruisce la propria identità.
Pubblicato nel 1926, è il capolavoro, e allo stesso tempo l'estremo epigono, della letteratura gauchesca, fiorita nella seconda metà del XIX secolo, che raccontava e mitizzava la figura del gaucho, l'equivalente argentino del cowboy, il mandriano ribelle agli obblighi della civiltà, l'eterno vagabondo in cerca d'avventure, simbolo di virilità e di eroismo.
Quando Güiraldes scriveva, quel mondo era ormai scomparso. Egli stesso, del resto, era un uomo coltissimo, poliglotta, cosmopolita, cresciuto ed educato in Francia, anche se aveva conosciuto il mondo rurale da bambino, nella tenuta paterna di San Antonio Areco, presso Buenos Aires.
Il protagonista - voce narrante e, in una certa misura, alter ego dell'autore - è un ragazzino di strada, orfano, dalla nascita incerta, il cui nome viene detto solo nel finale. Un giorno incontra il gaucho Don Segundo e lo sceglie come mentore e maestro di vita: seguirà il suo "padrino" nei vagabondaggi per la pampa selvaggia e sconfinata, diventando nel frattempo un uomo (anzi, come dice uno dei personaggi: "più che un uomo: un gaucho").
Il romanzo non ha una trama precisa, ma ricostruisce la vita dura e libera dei gauchos, fatta di fatica, feste, duelli, rude cameratismo, allegria e tragedia, narrandola con realismo minuzioso (l'originale usa largamente espressioni gergali argentine) e allo stesso tempo avvolgendola in un'aura mitica.
Al centro di tutto campeggia la figura di Don Segundo, coraggioso e taciturno, forte e impassibile davanti alla buona come alla cattiva sorte, simbolo di un ideale eroico, ma allo stesso tempo piantato nella più solida ed elementare umanità.