Come si fa a recensire un capolavoro della letteratura afroamericana del Novecento? Anzi, della letteratura americana del Novecento? Anzi, della letteratura americana tout-court? (E mi fermo qui, ma potrei andare avanti).
Potrei dire che “Invisible Man” è un potente ritratto dell'America anni Trenta, vista attraverso gli occhi di un ragazzo nero che, pieno all'inizio di speranze, le perde tutte, una ad una, fino a ridursi a uno spettro vagante (il celeberrimo attacco: “I am an invisible man”).
Oppure potrei dire che è l'Odissea trasposta nella Harlem Reinassance.
Oppure potrei dire che il romanzo ha una quantità di letture simboliche, ma che le fonde tutte in una narrazione allo stesso tempo picaresca ed epica.
O che è una delle più profonde e geniali riflessioni sull'identità afroamericana mai prodotte.
In poche parole: il protagonista-narratore, del quale mai viene rivelato il nome, all'inizio studia in un college per neri dell'Alabama, esplicitamente modellato sul Tuskeegee Institute frequentato da Ellison stesso. Per lui, giovane ambizioso ma ingenuo, intriso delle teorie sociali di Booker T. Washington, il college è il primo gradino della scalata sociale.
Invece la scala non sarà ascendente, ma discendente: prima perderà il diploma, poi la posizione sociale, poi il nome, infine la stessa identità. Si renderà conto che nessuno lo vede per quel che è: qualcuno lo vede come la speranza della razza nera, qualcuno come un leader rivoluzionario, o come un traditore dei neri, o come una marionetta da manovrare, o come uno stallone da portarsi a letto, o come un delinquente. Ma nessuno lo vede come un uomo.
Finirà per richiudersi in una cantina di New York, illuminata da 1369 lampadine alimentate abusivamente, ad ascoltare ossessivamente Louis Armstrong.
“Invisible Man” è l'unico romanzo pubblicato in vita da Ralph W. Ellison (1914-1994), ma è bastato per consegnarlo alla storia. Uscì nel 1952 e vinse il premio National Book Award l'anno dopo: tanto per dire, tra i concorrenti c'era “Il vecchio e il mare” di Hemingway.
Ne esiste una traduzione italiana recente (Einaudi 2009, 24 €), che non ho letto e della quale non conosco la qualità: ma consiglio a chi può di leggerlo in inglese, perché la lingua di Ellison riesce a rendere in maniera inimitabile accenti e tic linguistici di ciascun personaggio.
Oppure potrei dire che è l'Odissea trasposta nella Harlem Reinassance.
Oppure potrei dire che il romanzo ha una quantità di letture simboliche, ma che le fonde tutte in una narrazione allo stesso tempo picaresca ed epica.
O che è una delle più profonde e geniali riflessioni sull'identità afroamericana mai prodotte.
In poche parole: il protagonista-narratore, del quale mai viene rivelato il nome, all'inizio studia in un college per neri dell'Alabama, esplicitamente modellato sul Tuskeegee Institute frequentato da Ellison stesso. Per lui, giovane ambizioso ma ingenuo, intriso delle teorie sociali di Booker T. Washington, il college è il primo gradino della scalata sociale.
Invece la scala non sarà ascendente, ma discendente: prima perderà il diploma, poi la posizione sociale, poi il nome, infine la stessa identità. Si renderà conto che nessuno lo vede per quel che è: qualcuno lo vede come la speranza della razza nera, qualcuno come un leader rivoluzionario, o come un traditore dei neri, o come una marionetta da manovrare, o come uno stallone da portarsi a letto, o come un delinquente. Ma nessuno lo vede come un uomo.
Finirà per richiudersi in una cantina di New York, illuminata da 1369 lampadine alimentate abusivamente, ad ascoltare ossessivamente Louis Armstrong.
“Invisible Man” è l'unico romanzo pubblicato in vita da Ralph W. Ellison (1914-1994), ma è bastato per consegnarlo alla storia. Uscì nel 1952 e vinse il premio National Book Award l'anno dopo: tanto per dire, tra i concorrenti c'era “Il vecchio e il mare” di Hemingway.
Ne esiste una traduzione italiana recente (Einaudi 2009, 24 €), che non ho letto e della quale non conosco la qualità: ma consiglio a chi può di leggerlo in inglese, perché la lingua di Ellison riesce a rendere in maniera inimitabile accenti e tic linguistici di ciascun personaggio.