Io credo che il lavoro del critico somigli, in piccolo e in maniera tutta laica e profana, alla lotta notturna di Giacobbe. Per tutto il durare delle tenebre, Giacobbe combatte con un avversario, che crede un uomo e che gli impone gli stenti, le contrizioni, i pericoli di un corpo a corpo con un proprio simile. Ma, al tornare della luce, Giacobbe si accorge che l'altro era un Angelo. Nel nostro caso il critico scorge, riconosce, intero integro, e ancora più splendente il poeta. Quella poesia che egli aveva ferita con i suoi colpi, straziata con le proprie analisi, si ricompone nella sua più vera ed efficace figura. E come l'Angelo di Giacobbe, il poeta in quel momento tramuta le angosce della notte in benedizione, benedizione per tutti, della quale il critico nella sua qualsiasi misura, diventa un poco il tramite, l'amministratore.
(Giacomo Debenedetti)