sabato 17 agosto 2019

tre poesie di Robin Robertson

Il sogno della cacciatrice

È sempre lo stesso:
lei in piedi sopra di me

nella radura della foresta,
picchiettata su una guancia del sangue

di un coniglio o di un cervo.
Io non mi accorgo di nulla

se non della mia carne ammutinata
e delle trappole del desiderio

spedite per metterla alla prova:
le sue braccia nude, le spalle

nude, i capelli sciolti,
i seni duri, alti,

e sotto la cintura
di coltelli e d'esche per pesci,

la ferita svestita.
Ogni notte lo stesso:

il nodello squarciato,
e sotto il crollo;

mi risveglio nel suo corpo,
rotto, come un'arma da fuoco.

* * *

Esposizione

La pioggia, dicevi, è silenzio a volume alzato.
Piove da giorni e giorni.
Persino quando smette
c'è ancora il rumore
della pioggia, ostinato
a trovare nuove strade nella terra.

Noi giacciamo in un feroce abbraccio: queste
due metà che cercano l'intero, tese
a questa pausa nelle interferenze,
nel rumore bianco
della pioggia caduta
per tutto il giorno e per tutte le lenzuola della notte.

Il silenzio è pioggia con il volume abbassato,
e io adesso fisso là fuori e vedo chiaramente
qualche cosa abbadonata sul filo:
una vita, impigliata lì –
fradicia, stropicciata,
irriconoscibilmente mia.

* * *

Canzone della vanità

Che cosa portarti
se non ci sei più?
Bruchi, mosche e vermi delle mele.

Che cosa cantarti
se canzoni non ne ho?
Gridi di gabbiano e richiami di chiurlo.

Che cosa farti
se mi dici no?
Rammentarti la notte che si svuota,

e la vergogna che sarà il tuo premio.


(traduzioni mie)

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