Mio padre ha mani grosse e corte, dal palmo spesso: mani di struttura compatta, senza dispersioni e cincischiamenti. Io ho mani lunghe, con le articolazioni nodose; a un certo punto l'indice e medio, dopo la prima falange, deviano dalla linea retta per ruotare leggermente verso l'interno, in una sorta di tentennamento svogliato. Le mani di mia madre.
Mio padre è in grado, con le mani, di fare un sacco di cose: medico, può anestetizzare e intubare un malato, praticargli un'iniezione spinale, eseguire una tracheotomia; appassionato di restauro, sa mescolare vernici e solventi, gessi e cere, riportare un mucchio di cocci neolitici alla sua tridimensionalità originaria; sa scolpire, dipingere, riparare oggetti.
Io ho mani inette, neghittose, buone tutt'al più per impugnare una penna o per battere sui tasti di un computer. I miei le hanno provate tutte: lo splendido meccano anni Cinquanta, eredità di mio zio, rimase inutilizzato; il kit da intaglio, con trapano manuale e seghetto ad arco, venne abbandonato dopo i primi maldestri tentativi di seguire le sagome di case e automobili disegnate sul compensato. Persino sul pianoforte, le mie dita si rifiutavano di obbedire alla mente, erano “mollicce”, come le definì un mio insegnante, una pappetta inutile che intorbidiva note e ritmi. L'unica attività in cui abbiamo mai mostrato un certo talento è il disegno: a patto però che si tratti di far aderire al foglio la punta di una matita, o tutt'al più di un pennarello. Le chine diventano già un'impresa, e quando si tratta di colori e pennelli, la cosa si fa proibitiva.
Eppure (o, forse, proprio per questo) ho sempre provato una fascinazione per chi è dotato di abilità manuali.
I muratori che edificano a occhio mura perfettamente perpendicolari, gli elettricisti che districano matasse di fili, gli idraulici che curano i sistemi digestivi delle nostre case.
I bottai, i cordai, i fabbricanti di selle e di carretti, le cui foto sbiadite osservavo da bambino in un libro di tradizioni popolari.
Mastro Tanino (tutti lo chiamavano così, il vero nome si era perso nelle nebbie della memoria paesana), falegname abilissimo, carpentiere sublime, ma soprattutto artista del mosaico ligneo, capace di trasformare tasselli di abete e di faggio in opere d'arte.
Il vecchio orologiaio che per divertimento costruiva caleidoscopi.
O lo zio Mario (zio non mio, ma del mio amico Gigi), operaio semianalfabeta, che da morto lasciò in eredità un garage pieno di cellophane, scostato il quale si scoprì un meraviglioso paesaggio di modelli in legno, dalle minuscole farfalle alle cattedrali gotiche, fino a culminare in una strepitosa Basilica di San Pietro con colonnato del Bernini, lunga e larga quasi quattro metri.
L'abilità manuale è un retaggio del nostro primo grande salto evolutivo, quello che ci ha regalato le armoniose amigdale musteriane, le piccole punte di freccia in selce minutamente scheggiata, i bisonti sciamanici di Lascaux.
Ripenso a una poesia di Seamus Heaney, intitolata “Digging” (Scavando). Il poeta, intento a scrivere, osserva dalla finestra il vecchio padre che, armato di vanga, dissoda il giardino. La memoria gli ritorna indietro di vent'anni, a quando il padre estraeva le patate dalla terra, per darle ai figli: “Lo scarpone saldo sul vangile, a far leva / fermamente con il manico contro il ginocchio, / sradicava gli alti fusti, spingeva a fondo la lama lucente / per spargere patate nuove che raccoglievamo / amandone la fresca durezza tra le mani”. Gli torna in mente suo nonno, che maneggiava la pala nelle torbiere irlandesi, “a incidere e affettare con ordine, issando le zolle / al di sopra delle spalle, su e giù / per la buona torba”. “Ma io non ho una vanga per seguire uomini come loro”, conclude Heaney. “Tra l'indice e il pollice / sta acquattata la penna. / Scaverò con quella”.
Ecco, io non sono ottimista come lui. Non ho nemmeno più una penna, se vogliamo dirla tutta: solo una tastiera e i pixel di uno schermo. E non credo proprio che sia la stessa cosa.
3 commenti:
Come ti avevo detto non conosco Heaney e ora, quello che hai scritto tu sulle mani, bada, non quello che ha scritto lui, e come l'hai scritto, mi ha messo la voglia di fare la sua conoscenza
vale la pena, Amanda.
in questi giorni sono state pubblicate parecchie cose sue sul web.
bello. bello bello bello.
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