- Excuse me, do you know what's the easiest way to get to York?
- Sorry, where do you have to go?
- To York?
- Where?
- YORK!!
- Oh, you must go to Yooooooook...
Il tragitto Leeds-York. English countryside, verdissima, punteggiata di cavalli, mucche, cottages rustici, muretti a secco. Tutto così nitido da parere una cartolina.
I treni inglesi partono e arrivano ad orari cronometrici (17:12, 18:41, 5:43), in stazioni pulitissime, perfettamente organizzate, arredate con un kitsch curatissimo, impregnate dall'odore di fritto e di salsine unte che emana dai fast-food. Quella di York è un capolavoro vittoriano (1877), con qualche buffa reminiscenza di Hogwarths.
A York, all'alba, in pieno centro, una famiglia di oche attraversa la strada in fila indiana. Il taxi si ferma per aspettarle. York è piena di oche, anatre, papere di tutti i tipi. Pascolano nei prati, aspettano il semaforo verde per passare (giuro), si muovono per la città con perfetta disinvoltura. A guardarle bene, gli manca solo l'ombrello e la bombetta.
(Inevitabile il ricordo di una scena degli Aristogatti).
La cattedrale di York. Puro gotico nordico. La guardi e ti chiedi: ma è vera o finta?
The Shambles. Le viuzze medievali, le casette con la struttura in legno arcuata dai secoli. E un mare di ristoranti italiani.
E io, come al solito, finisco a comprare libri.
Il campus dell'Università: un enorme, smisurato villaggio universitario costruito a metà Sessanta, in cui sono rimasti congelati architettura, interni, arredamento di quegli anni. Tra un edificio e l'altro (tutti asimmetrici e bizzarramente funzionalisti) si aprono squarci di natura, laghetti con salici, prati di un verde accecante, boschetti di ippocastani. Più volte ho visto delle lepri attraversarmi la strada.
In fondo, i gentlemen esistono ancora. Questo vecchietto inglese in bicicletta, per sempio.
Dico: quale italiano si sarebbe preso la briga di avvisare la bella ragazza, in giro per il lungofiume di York in una gloriosa giornata di sole, del fatto che nel mettersi sulle spalle il borsone la sua gonnellina leggera e svolazzante si era pericolosamente impigliata e sollevata, concedendo al pubblico sguardo molto più di quanto fosse previsto?
Sabato sera. Via elegante del centro, costellata di pub e locali.
Gli avventori sono tutte donne. Tutte. Non c'è un uomo in vista, nel raggio di centinaia di metri.
E tutte sono abbigliate in quella che qui dev'essere la tenuta di gran gala: scollature ombelicali, minigonne inguinali, tacco 12, abiti da sera che spazzano il selciato, trucco a strati geologici. E tutte esibiscono l'esibibile. Anche quelle che, magari, ci guadagnerebbero se facessero a meno.
Promemoria: mai guardare un inglese (anzi, mai guardare in direzione di un inglese) per più di un secondo-un secondo e mezzo. Occhi bassi, o fissi nel vuoto, come i loro.
Nel campus, una studentessa bellissima: alta, slanciata, mora, con uno di quei fisici eleganti, sottili e affusolati, quasi senza seno, che piacciono a me.
"Welcome to the Authentic Faith. Please use the other door".
(Cartello sulla porta di un'aula).
Buzzicone inglesi tornano dai bagordi del sabato sera, lasciando traballare carni bianche, inflaccidite dall'alcool. Sono issate su scarpe con tacchi e suole fuori misura, che tolgono per lanciarsi su per le scale, verso i binari, a prendere il primo treno della mattina, imprecando a voce altissima.
La stazione è linda e luccicante sotto il primo sole.
"A medium cappuccino, please".
E arriva un bigonzone da mezzo litro.
Il rientro in Italia. Caldo, ressa, polvere, asfalto rovente, pezzi di cartone sollevati, con scarabocchiati sopra nomi stranieri.
2 commenti:
a sentire loro hanno treni sporchi e cari.
mi avesse avvisata a me qualcuno che la gonna si era impigliata sullo zaino quella volta che correvo per l'ennesima volta dietro alla coincidenza alla stazione di Verona!
Io ne ho presi tre, tutti perfettamente puliti e in orario.
York/Leeds, circa 40 km, 12 sterline e rotti. Direi che siamo perfettamente in linea con gli standard italiani.
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