(DVD, 6 novembre)
Quanto durano quarant'anni? Un battito di ciglia nella storia dell'Universo, metà della vita di un uomo, un'eternità per una mosca. Quarant'anni fa in Italia si parlava di classe operaia, lotta sindacale, rivoluzione, alienazione, piattaforma di rivendicazione unitaria. Quant'è passato? Ere geologiche?
Un'era geologica fa, usciva questo film di Elio Petri.
Il protagonista è Lulù Massa (G. M. Volontè), operaio il cui unico obiettivo nella vita è produrre, produrre e produrre. Ha trentun anni e da quindici vive in simbiosi con la sua macchina; ha una famiglia disastrata: una convivente (M. Melato), un figlio adottivo a carico, l'ex-moglie divorziata con figlio e relativi alimenti, vita sociale limitata all'ipnosi televisiva serale e ai dialoghi con Militina (Salvo Randone), ex compagno di fabbrica ora rinchiuso in manicomio.
Lulù odia gli studenti di estrema sinistra che ogni mattina urlano slogan rivoluzionari di fronte alla sua fabbrica ed è odiato dai compagni che lo vedono come un servo dei padroni. Soffre di ulcera e di impotenza, coltiva fantasie sessuali sulla giovane collega notoriamente vergine: insomma, sta male e non sa nemmeno lui perché.
Fino al giorno in cui la sua amata macchina gli mozza un dito. Lì comincia per Lulù il risveglio. Prende coscienza della propria alienazione, si lancia in un disperato sciopero, ma la sua discesa agli inferi si fa sempre più precipitosa: viene mollato dalla compagna, licenziato dai padroni, abbandonato da tutti. Arriva alle soglie della follia.
Alla fine, reintegrato nel suo posto di lavoro, si consola profetizzando ai compagni il paradiso per tutti gli operai.
Il film è scandito dal ritmo frenetico e allucinato della fabbrica; la telecamera insegue un Volonté rabbiosamente grottesco nel suo calvario, filmandolo sul posto di lavoro, o in giro per una Novara gelida e nevosa, o nel suo squallido appartamento proletario zeppo dei simboli del benessere sognato e mai raggiunto.
Un'opera a volte sbilanciata, ma sempre spinta da un autentico e doloroso furore. Che fece incazzare un po' tutti, anche (e soprattutto) a sinistra.
Un'era geologica fa, usciva questo film di Elio Petri.
Il protagonista è Lulù Massa (G. M. Volontè), operaio il cui unico obiettivo nella vita è produrre, produrre e produrre. Ha trentun anni e da quindici vive in simbiosi con la sua macchina; ha una famiglia disastrata: una convivente (M. Melato), un figlio adottivo a carico, l'ex-moglie divorziata con figlio e relativi alimenti, vita sociale limitata all'ipnosi televisiva serale e ai dialoghi con Militina (Salvo Randone), ex compagno di fabbrica ora rinchiuso in manicomio.
Lulù odia gli studenti di estrema sinistra che ogni mattina urlano slogan rivoluzionari di fronte alla sua fabbrica ed è odiato dai compagni che lo vedono come un servo dei padroni. Soffre di ulcera e di impotenza, coltiva fantasie sessuali sulla giovane collega notoriamente vergine: insomma, sta male e non sa nemmeno lui perché.
Fino al giorno in cui la sua amata macchina gli mozza un dito. Lì comincia per Lulù il risveglio. Prende coscienza della propria alienazione, si lancia in un disperato sciopero, ma la sua discesa agli inferi si fa sempre più precipitosa: viene mollato dalla compagna, licenziato dai padroni, abbandonato da tutti. Arriva alle soglie della follia.
Alla fine, reintegrato nel suo posto di lavoro, si consola profetizzando ai compagni il paradiso per tutti gli operai.
Il film è scandito dal ritmo frenetico e allucinato della fabbrica; la telecamera insegue un Volonté rabbiosamente grottesco nel suo calvario, filmandolo sul posto di lavoro, o in giro per una Novara gelida e nevosa, o nel suo squallido appartamento proletario zeppo dei simboli del benessere sognato e mai raggiunto.
Un'opera a volte sbilanciata, ma sempre spinta da un autentico e doloroso furore. Che fece incazzare un po' tutti, anche (e soprattutto) a sinistra.
Nessun commento:
Posta un commento