Giorgio Caproni, Il labirinto, Rizzoli 1984 (118 pagg.)
Libro comprato, non so più quando, su una bancarella dell'usato.
Mi aveva colpito il titolo; aprendolo mi ero reso conto con sorpresa che si trattava di prose e non di poesie (non sapevo che Caproni fosse anche narratore); e infine mi era piaciuta qualche frase letta qua e là. Poi, come al solito, era rimasto su uno scaffale in attesa.
Credo sia tuttora l'unica raccolta di racconti di Giorgio Caproni disponibile in commercio; dovrebbe esisterne una riedizione del 1992 negli "Elefanti" della Garzanti, quella riprodotta nell'immagine qui accanto. Raccoglie tre testi narrativi scritti negli anni '40, il più lungo di una cinquantina di pagine, il più breve di una quindicina scarsa.
"Giorni aperti" (1940) è la cronaca quotidiana di un reggimento di fanteria sul fronte italo-francese, nei primi mesi della Seconda Guerra Mondiale. I giorni passano tra marce, spostamenti in treno o in macchina, accampamenti, ozio, fatica, cameratismo, piccole avventure con gli abitanti dei paesi attraversati. Il fronte è lontano, appena intravisto, e la vita sembra scorrere in una sorta di lieta, giovanile incoscienza. Nonostante il tema, è un racconto lieve, a volte quasi picaresco.
Del tutto diverso il secondo, "Il labirinto" (1944-45), in cui c'è un gruppo di partigiani in fuga fra le montagne, in pieno inverno. Il "labirinto" è quello delle scelte da compiere: scappare o fermarsi? rifugiarsi in una casa ospitale o affrontare la notte all'aperto? e i tedeschi, ci saranno ancora dietro o li avremo seminati? e la ragazza che ci indica la strada è un'amica o una spia? ed è giusto uccidere per odio, per vendetta? è lecito provare pietà per il nemico? Una narrazione tesa, carica di angoscia, percorsa da ossessive immagini di morte.
E la morte è anche il tema del terzo racconto, "Il gelo della mattina" (1947). Un uomo passa l'ultima notte con la donna amata, moribonda, e si confronta con se stesso, con la propria viltà e i propri sensi di colpa, con un misto di odio e pietà, amore e risentimento.
Quella di Caproni è una prosa lirica, che spesso si contrae in costruzioni ellittiche o si inarca in immagini poetiche o accostamenti verbali inaspettati.
Una bella scoperta.
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1 commento:
nemmeno io la sapevo questa... ed è che caproni è uno che raramente si ignora... me lo procuro!
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