Credo sia un verso emblematico della poesia di Mario Benedetti, con quella sua notazione sensoriale apparentemente immediata e banale, straniata però nella seconda parte. È questa la cosa che mi ha sempre colpito nei suoi testi: l'apparente discorsività colloquiale, quasi confessionale, spezzata da sincopi e fratture improvvise che rendono il discorso allo stesso tempo limpido e scosceso.
Mario Benedetti ha avuto una vicenda editoriale perlomeno bizzarra: l'esordio tardivo, a metà anni Ottanta, a trent'anni già compiuti, prima su riviste e poi in plaquette di piccoli editori.
La consacrazione, nel 2004, a cinquant'anni, con Umana gloria, uscito per Mondadori, un'auto-antologia che è molto più di un'antologia, perché dalla produzione precedente trasceglie con tagli drastici, fino a renderla tutt'altra cosa. Un libro che, di colpo, lo trasforma in classico già in vita.
Poi tre sillogi in dieci anni: il denso e raggelato Pitture nere su carta (Mondadori 2008), l'ibrido Materiali per un'identità (Transeuropa 2010) e infine l'estremo Tersa morte (Mondadori 2013), che è già una contemplazione del proprio addio.
Nel frattempo, una vita travagliata dalla malattia, fino all'ictus che nel 2014 l'ha sottratto al mondo.
Una poesia che, partendo da una realtà apparentemente dimessa e marginale, riesce ad arrivare con grande lucidità al cuore delle cose.
* * *
Che cos'è la solitudine
Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi:
un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota.
Ho freddo ma come se non fossi io.
Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
come un uomo con un libro, ingenuamente.
Pareva un giorno lontano oggi, pensoso.
Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri,
il Natale nei racconti,
le stampe su questo parco come un suo spessore.
Che cos’è la solitudine.
La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare,
si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto,
un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande.
L’ho letto in un foglio di giornale.
Scusatemi tutti.
(da Umana gloria, 2004)
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