Valeria Ventura, Le innocenti, Francesco Tozzuolo Editore (186 pp., € 18)
Perugia, 1520. La città è sotto la signoria dei Baglioni, ma le grandi casate aristocratiche continuano a scontrarsi in lotte e faide, sotto la costante minaccia del potere papale. Questo è lo sfondo: ma Valeria Ventura decide di concentrarsi piuttosto su tre storie "piccole", quotidiane, tutte e tre con protagoniste femminili.
Sarah è una giudea: suo marito David è stato ucciso da Ascanio, il rampollo di una nobile famiglia a cui aveva avuto l'ardire di richiedere la restituzione di un prestito. Tutti conoscono il colpevole, ma è inutile chiedere giustizia: la giustizia, per gli ebrei, non esiste.
Sempre Ascanio ha messo incinta Benedetta, una povera trovatella che lavorava come serva in casa sua. Ora la ragazza è disonorata, scacciata, senza più famiglia né mezzi.
E poi c'è la sorella di Ascanio, Domitilla, che fin dalla nascita è stata condannata alla monacazione forzata, per la quale non sente alcuna vocazione.
Tutte e tre sono vittime innocenti: Sarah del pregiudizio religioso, Benedetta della povertà, Domitilla delle spietate logiche economiche e familiari. L'autrice racconta le loro storie con mano sicura, con un'empatia che non sfocia mai nel patetismo e con un linguaggio che qua e là riecheggia - ma senza tentativi mimetici - l'italiano del Cinquecento.
Un bel libro, che consiglio non solo a chi conosce Perugia (e ha il piacere particolare di poter seguire con l'immaginazione i personaggi), ma a chiunque ami, come la amo io, la narrazione storica.
Un bel libro, che consiglio non solo a chi conosce Perugia (e ha il piacere particolare di poter seguire con l'immaginazione i personaggi), ma a chiunque ami, come la amo io, la narrazione storica.
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