diccelo forte che il pane non è bianco
che non c'è niente di modesto
nel pregare in una cucina di sprechi
un silenzio tenuto a osso.
Sarà che i giochi di prestigio
hanno rotto l'ultimo bicchiere
e non ci stupiamo più dell'arrivo del domani
che ha sempre la violenza di una volpe.
Alle trecce dei miei tre anni
– alle mie, alle tue –
possiamo dare ben più di un saluto
tutto quello che abbiamo saputo
o non saputo tenere
e questa sera ben costruita sulle spalle.
Diccelo forte che il pane non è bianco
che i figli muoiono
che sono pochi gli avanzi
e non ci è rimasto più nulla da sacrificare.
* * *
Ci si sente
bestie sante della terra
in questo stare distesi sull'acqua
guardando da qui la casa
in cui chi mi ha fatto
e chi ho fatto
condivide lo stesso sonno.
L'alba porta sul lago una sana misura di luce
una tela nuda per il disfacimento del mio saio.
Ho seni caldi – fermi
come si pasturasse ancora latte
come ci fosse ancora qualcosa da nutrire.
Deve essere tutta questa vita
tutto questo essere presente
che non distrae
che non disattende
ciò che veramente esiste – qui –
neanche per un nuovo sentimento
neanche per un compito migliore.
* * *
Lavorare a un ordine tutto l'accaduto
è prima di tutto correggere il genere di me
la femmina che non comprende assenze
e pensa al bene come a qualcosa da sfamare.
Ma se credo allo stesso modo dei falchi di stasera
tirando con l'ala un silenzio allo stremo
dove anche la lucidità della preghiera
mi viene sinistra, di taglio
vedo che posso solo con la mia natura neutra
sollevare
distendere anche il movimento delle labbra
parlarti come devo
in uno spazio più alto, senza sonno.
Cerco di essere scientifica
come Democrito scandire
ascoltando la materia in atomi
anche quando ci eravamo messi in tavola
ridendo del pasto e tu mi pesavi
spazzando quella cosa che pensiamo
di me e di te
spezzando
quella cosa che spezziamo.
Tiziana Cera Rosco
da “Il compito”, La Vita Felice, 2008
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