La mia esperienza scolastica si è svolta dal 1980 (prima elementare, o meglio primina perché sono di marzo) al 1993 (diploma), in una cittadina della provincia pugliese.
Non recentissima, ma insomma nemmeno la preistoria.
Nelle aule, la presenza di stranieri era praticamente zero (oggi nella mia scuola - un Liceo delle Scienze Umane - in una classe di 25 è normale avere almeno 4-5 studenti con famiglie di origine straniera; nei nidi e alle materne, si sfiora tranquillamente il 40-50%).
La percentuale di alunni che non seguivano Religione era minima, quasi inesistente (oggi ho classi dove un terzo e più degli alunni "non si avvalgono", come si dice in gergo). Ogni Natale e Pasqua, i professori ci portavano ad assistere alla Messa di precetto nella chiesa accanto alla scuola, cosa oggi impensabile.
Non ricordo compagni di scuola con genitori divorziati o separati (oggi uno dei refrain nei consigli di classe è che l'alunno X ha problemi in famiglia, che in genere significa divorzio o separazione in corso).
Si pagava in lire, si andava in Francia con il passaporto e l'Europa era Giochi senza frontiere. Gli aerei costavano un occhio della testa, ma c'era l'Interrail (che io, comunque, non ho mai fatto). Esisteva ancora la Cortina di Ferro, la Russia si chiamava U.R.S.S. e chi voleva votare a sinistra votava P.C.I. Berlusconi era un miliardario con connessioni mafiose e massoniche e i canali TV erano una decina in tutto.
La musica si ascoltava sugli LP in vinile o sulle musicassette. I dischi si ordinavano nell'apposito negozio e spesso per quelli esteri o rari bisognava aspettare settimane. Il cd faceva la sua timida apparizione, ma non si sarebbe diffuso in massa prima dei tardi anni Ottanta-primi anni Novanta. Se qualcuno ci avesse parlato di MP3, avremmo pensato a un film di James Bond.
Internet era sconosciuto, Facebook, Whatsapp e tutti gli altri social network non erano ancora stati inventati, delle e-mail non esisteva nemmeno la parola, Skype manco a parlarne. Per chiamarsi, si usava il telefono (addirittura quello a rotella, pesantissimo, di bachelite grigia) e le cabine telefoniche (prima a gettoni, poi con la carta telefonica) ed era ancora normale scriversi lettere e mandarsi cartoline. Quando comparvero i primi cellulari, negli anni Novanta, si trattava di affari grossi come walkie-talkie, con antenne lunghe mezzo metro che rischiavano di accecare i vicini.
Le ricerche non si facevano su Wikipedia ma sulle enciclopedie di carta, a casa propria oppure in biblioteca.
Il massimo della tecnologia era una calcolatrice scientifica (ricercatissime quelle che tracciavano i grafici delle funzioni) e magari qualcuno dei primi, preistorici personal computer.
Credo di non aver mai visto un modem prima dei vent'anni, e si trattava di quelli che fischiavano e scricchiolavano per mezz'ora prima di connettersi, e poi ci mettevano altrettanto per scaricarti un'immagine.
I videogiochi erano, a paragone di quelli di oggi, quello che l'aereo dei fratelli Wright è rispetto allo Space Shuttle.
Per accedere alla pornografia, o semplicemente alla visione di un corpo femminile nudo, bisognava sottrarre surrettiziamente le riviste ai fratelli maggiori, oppure cercare, sulle TV private, qualche commediaccia con Edvige Feneh o Gloria Guida, o una puntata di Colpo Grosso.
Non ho dati statisticamente attendibili, ma credo di poter affermare con una certa sicurezza che pochissimi fra i miei coetanei abbiano avuto rapporti sessuali prima dei diciotto-diciannove anni.
Cominciavano ad arrivare i primi segni della globalizzazione, ma la prima volta che ho visto un McDonald è stato a sedici anni, durante una vacanza-studio in Inghilterra.
Eppure, ogni anno, ho sempre più forte la certezza che gli adolescenti di oggi - globalizzati, bombardati di informazioni, frastornati dai social network, schiavi dei telefonini, abituati ad accedere senza problemi ad archivi online contenenti terabyte di pornografia di ogni genere - siano sostanzialmente identici a com'eravamo noi alla loro età, anche se a noi adulti fa più comodo pensare il contrario.
1 commento:
Caro Sergio, essendo più o meno tuo coetaneo, ti do assolutamente ragione. La cosa avvilente è che ogni generazione continua (anche se in forme diverse) ad assumere gli stessi atteggiamenti e a fare gli stessi errori: i giovani pensano di sapere/capire tutto, i genitori (o i fratelli/sorelle maggiori)... idem! Magari ogni tanto proviamo a parlare tra di noi: costruire ponti è più utile che alzare muri.
Ti seguo sempre con piacere. Un abbraccio. Gianni
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