Albrecht Haushofer (1903-1945) fu
professore di Geografia Politica all'Università di Berlino, ma si
dedicò – perlopiù in privato – anche all'attività letteraria.
Suo padre, Karl, fu anch'egli un
docente universitario, liberale conservatore di idee nazionaliste e
perciò vicino al nascente nazismo (era amico personale di Rudolf
Hess). Pare si debba proprio a lui l'invenzione dell'espressione
Lebensraum (“spazio
vitale”), poi diventata parte degli slogan nazisti. Egli, comunque,
si allontanò dal nazismo quando ne comprese il carattere
dittatoriale.
Albrecht, da parte sua, disprezzò sempre i nazisti, ma accettò di collaborare con il regime nella speranza di poterne influenzare le posizioni, non risparmiando comunque le critiche verso la politica hitleriana. L'amicizia del padre con Hess lo salvò dalle persecuzioni razziali – sua madre era ebrea – ma infine, nel dicembre 1944, fu arrestato perché sospettato di collusione con un fallito attentato a Hitler. Venne rinchiuso nel carcere di Moabit, vicino Berlino, dove restò per circa quattro mesi.
Albrecht, da parte sua, disprezzò sempre i nazisti, ma accettò di collaborare con il regime nella speranza di poterne influenzare le posizioni, non risparmiando comunque le critiche verso la politica hitleriana. L'amicizia del padre con Hess lo salvò dalle persecuzioni razziali – sua madre era ebrea – ma infine, nel dicembre 1944, fu arrestato perché sospettato di collusione con un fallito attentato a Hitler. Venne rinchiuso nel carcere di Moabit, vicino Berlino, dove restò per circa quattro mesi.
Fu giustiziato dalla Gestapo, insieme
ad altri prigionieri, nella notte tra il 22 e il 23 aprile 1945,
qualche giorno prima che Hitler si suicidasse e le truppe russe
entrassero a Berlino. Suo padre e sua madre si uccisero nel marzo
dell'anno seguente.
Fra le carte di Albrect, furono
ritrovati 80 sonetti, scritti durante la prigionia. Sono stati
pubblicati nel 2012 dall'editore Beck, con il titolo di Moabiter
Sonette (“Sonetti di Moabit”). Ne traduco qui tre.
Altri testi – non nella mia
traduzione, ovviamente – sono sul numero 309 della rivista “Poesia”
(novembre 2015).
* * *
Madre
Ti vedo ferma a un lume di candela
nella cornice di una porta scura.
Senti arrivare il fresco giù dai
monti.
Hai freddo, madre. Eppure non ti muovi.
Mi guardi mentre fuggo nella notte
nei giorni incerti di un destino oscuro
con un sorriso che è soltanto lacrime
con un dolore senza guarigione.
Ti vedo nella luce del tuo amore
nel tremolio dei tuoi capelli bianchi.
Senti soffiare il grande, buio
freddo...
E lenta lenta affonda la tua faccia.
Lontana, ancora brilla la candela.
Hai freddo, madre. Madre, torna dentro.
* * *
Acheronte
Bisogna smuovere anche l'Acheronte
(osò dire un grandissimo poeta)
quando gli dei non corrono in aiuto:
ostinato, mio padre lo citava.
Mio padre, cieco al sogno di potenza.
Io invece avevo tutto presentito:
rovina, fuoco, fame, morte e sangue,
l'orrore intero dell'infera notte...
Cosciente, spesso ho già preso congedo
da tutto il bello che la vita offriva,
patria, lavoro, amore, pane e vino.
Adesso il buio è sceso su di me.
Qui è l'Acheronte. Lontana è la vita.
Gli occhi tranquilli cercano una
stella.
* * *
Cassandro
Cassandro, mi chiamavano al potere,
perché, come l'antica visionaria,
avevo già previsto gli anni amari
e l'agonia del popolo e del Reich.
Giudicavano alto il mio sapere,
ma nessuno prestava mai orecchio,
si adiravano che li disturbassi
quando, implorante, indicavo il futuro.
Nel fortunale spinsero la barca
a gonfie vele tra gli scogli angusti
giubilando vittorie premature.
Adesso naufraghiamo: noi e loro.
Nell'ora estrema è sfuggito il timone.
Ora aspettiamo che ci inghiotta il
mare.
(traduzioni mie)
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