Avendo infaustamente – e nonostante
me lo fossi promesso e ripromesso –
dimenticato di fissarli in fotografia
dovrò adesso compiere un particolare
sforzo di concentrazione perché nulla
vada perso dei sessanta (scarsi) minuti
che ci hanno visti del tutto
eccezionalmente
l'uno di fronte all'altra – in una
bolla
fragile e iridescente di felicità –
le singole parole la curvatura
della tua voce nel dirmi che non deve
per forza essere così – non sempre
almeno – lo zampillare opalino
della tua risata – l'angolo di
incidenza
del sole sui tuoi zigomi l'incredibile
concentrarsi nella tua cornea
di tutto ciò che intuivo
senza vederlo – come se fosse
tutta lì in un solo punto la luce
di Roma la gloria impudica del
pomeriggio
(e ti vedevo lo sai in un'altra luce
già più vicina a spegnersi – uscire
dall'ombra nello spazio aperto
fermare la pupilla
sulla vertigine dei Tre Mondi)
– e infine
la scia imprevista del tuo profumo
l'estremo il sempre più sottile
filamento che si tendeva a te –
svanita.
E le parole che non ti ho detto
anzi quelle sopratttutto e quelle
che non mi dirai – devi credermi
era questo l'unico modo
farne parole la prima poesia
del duemilaquindici che non penso
potesse nascere sotto migliori auspici.
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