Io credo che ognuno si ricordi avere udito da' suoi vecchi più volte, come mi ricordo io da' miei, che le annate sono divenute più fredde che non erano, e gl'inverni più lunghi; e che, al tempo loro, già verso il dì di Pasqua si solevano lasciare i panni dell'inverno, e pigliare quelli della state; la qual mutazione oggi, secondo essi, appena nel mese di maggio, e talvolta di giugno, si può patire.
[...]
Ma i vecchi, riuscendo il freddo all'età loro assai più molesto che in gioventù, credono avvenuto alle cose il cangiamento che provano nello stato proprio, ed immaginano che il calore che va scemando in loro, scemi nell'aria o nella terra. La quale immaginazione è così fondata, che quel medesimo appunto che affermano i nostri vecchi a noi, affermavano i vecchi, per non dir più, già un secolo e mezzo addietro, ai contemporanei del Magalotti, il quale nelle Lettere familiari scriveva: "Egli è pur certo che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi son più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di pasqua di resurrezione, ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d'impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch'ei portava nel cuor dell'inverno". Questo scriveva il Magalotti in data del 1683. L'Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia, se da quell'anno a questo, fosse venuta continuamente raffreddandosi a quella proporzione che si raccontava allora.
Giacomo Leopardi, Pensieri (1845), XXXIX
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