Dove sono nato io, il cielo è una cupola; anzi, diciamo meglio, una grande bacinella che spazia da orizzonte a orizzonte. E l'orizzonte c'è tutto, da qualunque parte si guardi, rotto appena, a nord-ovest, dai primi rilevi del Subappennino Dauno, e a nord-est dal Gargano (ma il Gargano è un caso a parte, un enorme cavallone di pietra che emerge, quasi verticale, dalla pianura, un'isola a sé rispetto a tutte le terre circostanti).
Da quando vivo a Perugia, ho accettato l'idea che il mondo possa scomporsi su diversi piani e che lo sguardo possa abbracciarne più di uno contemporaneamente.
Ciò nonostante, quelle rare volte che mi trovo in montagna, ancora fatico a capire come mai la terra non abbia la decenza di restarsene composta sull'asse che gli compete, quello orizzontale, e insista a sollevarsi in tutte le direzioni, come in un colossale, lentissimo maremoto. Mi inquietano gli intervalli vuoti, le macchie d'ombra che persistono quando tutto il resto è già al sole, l'ossame nudo della terra che emerge sulle vette, sotto la carne dell'humus e la pelliccia dei boschi. Tutto quello spazio occupato solo da roccia ottusa, compatta, che non conoscerà mai la luce. Quei dorsi minacciosi, come di belve pronte a scuotersi.
“Mammina, ma quando uno muore, poi finiscono i compleanni?”
Dopo il tramonto, è il turno dei pipistrelli. Ovviamente, nel loro caso è certo che sorvolino la piscina per catturare insetti, attirati dalle luci cangianti che la illuminano di notte.
(Mi stanno simpatici i pipistrelli, non so nemmeno io perché).
Sogni pieni di posti mai visti, di cui all'alba restano solo frammenti.
Sei e mezza del mattino: io, il sole appena sorto, gli uccelli appena svegli, mosche ovunque, l'acqua immobile, le montagne che sembrano carta velina, senza spessore. Silenzio quasi assoluto. Quando ne ho voglia, un tuffo in piscina. Colazione con tre o quattro fichi colti direttamente dall'albero. Poi si comincia la giornata.
Però, devo essere onesto: una settimana basta e avanza.
Mistero irrisolto della vacanza: per quale cacchio di motivo il nostro vicino di appartamento (italianissimo lui, come la moglie; forse romani, dall'accento) parli ai bambini esclusivamente in inglese. Un inglese, diciamo così, lontano dall'essere impeccabile. Solo lui, non la moglie. E per di più, insiste nel chiamare il maggiore (Giacomo, un anno e mezzo) “signorino”.
“Signorino, iu uont mor pappa?”
“No, signorino, giv mi de ciuccio.”
“Bravo, signorino! Iu faund de brum? A-ah? A-ah?”
“No signorino, nott tu clos tu de uoter. Nau ends on ior becc.”
È ormai la colonna sonora della vacanza.
Il bimbo dei vicini, otto anni, spaparacchiato sulla sdraio: "Ahhhh, questa è vita!".
Il bimbo dei vicini, otto anni, spaparacchiato sulla sdraio: "Ahhhh, questa è vita!".
Il “papà di Signorino” – questo, ormai, il nome in codice – ha un'inquietante somiglianza con l'Anthony Perkins di “Psycho”, pettinatura compresa.
È seduto sulla veranda mentre D. parla con i bimbi: “No, cicci, non abbiamo portato la casa delle bambole. Hai presente quella che abbiamo a casa, quella un po' liberty?”.
“Bello”, interloquisce Norman Bates, “ottimo modo di introdurre il liberty ai bambini. Ah! Ah! Ah!”
Io e D. ci guardiamo, agghiacciati.
(Nella foto: il paesaggio dalla terrazza)
1 commento:
io e te sui monti abbiamo punti di vista decisamente diversi :D
qualcuno si è informato su chi mai fosse la nonna di signorino, no perché, se tanto mi dà tanto, io alla doccia vicino alla piscina mi sarei accostata con molta cautela
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